Da quelli che come quest’anno non è mai stato
a quelli che tutti gli anni la stessa storia,
Da quelli che non arrivano più al venti del mese,
a quelli che alla fine del mese ci arrivano coi soldi degli altri.
Da quelli che in Casentino ci sono più stranieri che italiani
a quelli che la sera vanno dalle nigeriane dal Mazzi o dalle albanesi alle Cascine:

AUGURI

Da quelli che si sono ritrovati a cinquant’anni in mezzo a una via perché la fabbrica ha chiuso
a quelli che hanno fatto chiudere la fabbrica e sono anche loro in mezzo alla via. Col Porsche.
Da tutti quelli che non se ne può più di tutti questi processi in televisione
A quelli che non ne possono più dei loro processi, e si fanno le leggi per cancellarli.
Da quelli che quest’anno per capodanno si rimane a casa
a quelli che quest’anno per capodanno non si rimane a casa perché ci rimangono solo gli sfigati:

AUGURI

Da coloro ai quali hanno diagnosticato solo una flebile speranza di vivere,
a quei Ruini che li hanno condannati a morte dicendo che la scienza è contro Dio
Da quei cittadini che pagano ICI, IRPEF, INPS, ILOR fino all’ultimo centesimo,
a quei cittadini di un piccolo stato estero vestiti di nero che non pagano più neanche l’ICI
Da quei ragazzi che cantavano e ballavano davanti al compianto polacco,
a quel tedesco che ha già pronte le fascine di legna per i nuovi roghi:

AUGURI

Da quei bischeri che pagano le tasse,
a quei furbi che con quelle tasse ci vanno alle Maldive
Da quelli che la giustizia è uguale per tutti vorrà pur dire qualcosa,
a quelli che sono più uguali degli altri, e vorrà pur dire qualcosa
Da quelli che vorrebbero ma non possono,
a quelli che vogliono, possono, ostentano, se ne vantano, disprezzano:

AUGURI

Tantissimi auguri per un rinnovato Ano nuovo. Fino ad oggi avete avuto un enorme buco di sedere e vi è andato tutto bene. Ma come diceva il mì poro nonno: “alla fine, e finì il pastone all’oci…!”

All’inizio dei tempi, quando la scimmia si era appena evoluta nei primi ominidi, gli unici attrezzi che venivano utilizzati dai nostri antenati erano le clave, per i lavori più fini le selci. Poi il cervello degli ominidi si è evoluto: da un bastone e un sasso si è ricavato una ascia, da un ramo flessibile si è ottenuto l’arco. Col susseguirsi dei secoli, l’intelligenza umana si è evoluta fino a sviluppare una straordinaria tecnologia: oramai sono passati quarant’anni da quando ci siamo spinti fin sulla luna, ed oggi siamo in grado di clonare altri esseri o di osservare l’atomo. Ma non da noi. Nella nostra vallata, chiusa non solo geograficamente, il tempo sembra essersi fermato tra la clava e l’ascia (risulta difficile trovare qualcosa per legare un sasso ad un ramo, in effetti). Il Casentinese medio, infatti, posto davanti ad un telecomando della TV, impiega solo sette secondi per smadonnare e buttarlo dalla finestra. La tecnologia non abita da queste parti! O meglio, se cataloghiamo il contenuto di strumenti tecnologicamente avanzati presenti nelle abitazioni dei nostri concittadini restiamo sbalorditi. Ma dal possedere l’oggetto al padroneggiare l’oggetto la differenza è abissale. Fino dall’automobile, il Casentinese è in difficoltà. Comprano mezzi col climatizzatore quadrizona a controllo satellitare e lo tengono regolarmente spento perché non hanno capito quale è il bottone per accenderlo. Meno male che hanno comprato anche il tergicristallo che si aziona da solo, altrimenti quando piove sarebbero costretti a fermarsi… Il telefonino del casentinese, come abbiamo detto in passato è spaziale: dotato di mille funzioni, indica la strada, funziona da agenda, ci si fanno i giochini, ci si legge la posta elettronica. Ma l’unico bottone che il Casentinese medio conosce è il tastino con la cornetta verde, quello che si usa per rispondere. I rimanenti cento tasti rimangono li per futura memoria. Il Casentinese tecnologicus porta il telefonino sempre in tasca, ma ovviamente spento (altrimenti si consuma la batteria). Se deve chiamare qualcuno si ferma alla cabina telefonica, perché in tutta quella selva di tastini microscopici, per fare il numero ci vorrebbe uno spillo. Posto davanti al computer, il Casentinese perde non solo una buona occasione, ma anche la dignità. Per accenderlo, dopo una attenta analisi di venti minuti della superficie del computer stesso, preme il tastino della stampante. Non parte. Preme quello del monitor. Non parte. E comincia l’avventura delle telefonate al tecnico. Domande tipiche del Casentinese informaticus: “volevo il monitor a colori, ma quando scrivo una lettera lo sfondo è bianco”, “Non mi funziona più nulla” (finita la carta nella stampante), “Perchè, per avere internet ci devo avere il telefono?”, “io ci ho LE MEI” (traduzione: ho l’email) e la sempre bella “Come? il computer lo devo attaccare alla corrente? E come faccio, le prese ce l’ho in quell’altra parete!”. Se avete qualche fortunato (?) amico che ha fatto l’abbonamento al satellite, osservatelo quando è all’opera. Egli possiede le chiavi per la comunicazione globale, potrebbe ricevere notizie ed interagire con tutto il mondo. Ma essendo rimasto contadino a metà (ovvero: del famoso detto “Contadino, scarpe grosse ed il cervello fino” gli sono rimaste solo le scarpe grosse), egli oramai ha memorizzato solo le posizioni relative ai canali porno e al canale dove trasmettono le partite. Memorizzati nel senso che li ha scritti su un foglietto che tiene accanto al telecomando.

L’unico oggetto tecnologicamente avanzato che non rompe le palle è la Playstation. Apri il coperchio, metti il disco, chiudi il coperchio e fa tutto lui. Una manna dal cielo!

Probabilmente l’avversità dei nostri concittadini verso la tecnologia è dovuta alla ignoranza della lingua inglese, come ho già fatto notare. Dovremmo organizzare dei corsi di ON/OFF: nelle prime dieci lezioni spieghiamo il significato della parola ON (accendi) e nelle rimanenti dieci lezioni la parola OFF (spengi). Per chi avesse dei dubbi sono previste delle lezioni di recupero serali…

Il vecchio Henry Ford, l’inventore dell’automobile, disse: “Si ha vero progresso, solo quando i vantaggi della nuova tecnologia sono alla portata di tutti”: per qualcuno sarebbe stato tutto più facile se avesse inventato la vanga!

Quante volte davanti all’astruso comportamento delle nostre compagne ci siamo detti: “o questa de che se sa?”. E come d’improvviso baleno, torna alla memoria la grandiosa ed austera figura della nonna, abile e democratica padrona della famiglia matriarcale, la quale dopo una giornata di faccende raccoglieva il nipotame vario davanti al camino e dispensava castagne e saggezza.

Dove sono finite le donne di un tempo, mi chiedo? State tranquilli, nessuno mi caverà dalla penna alcun sentimento misogino (traduzione per il volgo: non sono di quelli che affermano “la donna? All’acquaio…!”), ma provo un leggero sentimento di nostalgia per le figure femminili di una volta, donne d’acciaio nel carattere, dalla pelle dura forgiata dalla vita senza tanti agi né fronzoli, con le fluenti chiome corvine come il DNA impone, capaci di aggiustare un carretto e contemporaneamente di fare la nanna al nipote sotto all’ombra della quercia.

La donna di oggi è solo lontanamente parente di quella di quei tempi. E non mi riferisco soltanto alle donne (finte) che deturpano piccoli e grandi schermi (finti), in astrusi sceneggiati (fiction) o che ballettano mostrando le poppe (finte). Anche nel nostro Catino (contrazione di Casentino, e sagace metafora per definire una vallata: stasera sono in vena) le mode, le abitudini ed i comportamenti sconsiderati e deprimenti hanno portato ad un progressivo svilimento della figura femminile. La bellezza altera e naturale è stata soppiantata dal troionismo, l’arguzia si è tramutata in abulia, e la intelligenza in inerzia. Per non parlare delle mode. Appena arrivata alla fatidica soglia dei quattordici anni, la donna sente gli ormoni in fermento, il calore che cresce… Non illudetevi: ella è in cerca della sigaretta, in quanto la donna, ancor prima di esserlo, già fuma… Eh si, perché la donna casentinese fuma. L’oggetto del desiderio non è più il maschio, ma la sigaretta! E pensare che non solo fa male, ma rispetto al maschio ci hanno perduto anche dei bei centimetri in lunghezza e diametro… Quando la donna fuma (cioè sempre), il mondo deve fermarsi. Orde di lanzichenecchi possono invadere il tinello, i terremoti possono scuoterle un po, ma l’attenzione della donna è rivolta al loro futuro carcinoma cilindrico. Ovviamente anche le abitudini di chi vive attorno alla donna devono plasmarsi attorno a questo flagello: la donna fuma prima di uscire di casa (e bisogna aspettare che abbia finito), fuma per le scale (altra attesa), e fuma nel tragitto tra il portone e l’automobile (e tutti devono aspettare che abbia finito prima di salire in macchina). Una volta ho provato a nascondere il pacchetto di sigarette alla mia compagna: ha gradito lo scherzo così tanto che è andata in camera ed in tre minuti mi ha fatto le valigie e me le ha fatte trovare sul pianerottolo. E già che era li, si è fumata una sigaretta. Ma i flagelli portati nella nostra vallata dal progresso (oltre al suffragio universale),è la patente di guida. Perché anche la donna casentinese guida! Dio ce ne salvi, ma ella guida! Non starò a magnificare le spericolate doti di guida delle nostre conterranee, mi limiterò a denunciare il dramma che ogni casentinese “accoppiato” vive quotidianamente. Chi ha una sola automobile e la condivide con la moglie, sa a cosa mi riferisco se dico le parole “sedile” e “specchietto”. Indovinato, miei compagni di sventura! La donna quando sale in macchina, smuove tutto quello che c’è da smuovere, tocca, rigira, personalizza, tira levette, gira manopole, pigia bottoni. Sposta il sedile fino a due centimetri dal vetro, avvicina il volante fino ad averlo incastonato fra le costole, gira tutti gli specchietti interni ed esterni a loro piacimento (nota bene: in quelle posizioni non si vede una mazza!), poi, non contenta si dota di cacciavite e smonta la pedaliera, la leva del cambio, inverte le ruote anteriori con quelle posteriori, svita l’antenna della radio, cambia l’ordine dei tappetini e già che c’è svita la ruota di scorta e la riavvita al contrario. Si ignorano le cause di questo raptus. Quando una donna prende la tua auto, ci vuole il carrozziere per ripristinarla. Anche la sua conoscenza delle vetture è approssimativa: “Guarda, quella macchina è uguale a quella di Carla”. “Ma quella è un Mercedes Station Wagon!”. “Perché, Carla cosa ha?”. “La Punto!”. “E va beh, però il colore gli assomiglia”… “Quella è nera, la punto della Carla è gialla…” ed a questo punto ella si zitta e fa la griccia.

E poi, non dimentichiamoci che la donna casentinese vuole essere indipendente: primo sintomo di indipendenza è il lavoro. Giammai qualcuna facesse la casalinga. Ebbene, la donna casentinese lavora. Ella aspira al segretariato, e quando riesce nel sospirato intento ed assume tale incarico, scatta il grottesco. La donna, posta davanti ad un computer, impiegherà solo 14 secondi per distruggere l’hard disk con sedici anni di lavoro. Messa davanti ad una finestra con su scritto “Premere OK per continuare”, con un bottone con la scritta OK grosso come tutto il monitor, ella, seguendo la propria (il)logica andrà a cliccare sui seguenti bottoni: “Start”, “Impostazioni”, “Pannello di controllo”, “Opzioni risparmio energetico”, e cliccando a caso nella finestra, fulmina irrimediabilmente la batteria.

Belli i vecchi tempi, quando non esistevano le MarieDeFilippi, i Costantini, le NovelleDuemila, le Rivombrose, le capigliature “biondo platino con nuance verde muschio primaverile”…

Ecco, lo sapevo. Ero partito con le migliori intenzioni, poi mi sono autoconvinto. E’ vero, dire che le nostre donne debbano stare all’acquaio è un errore grossolano: oggi si sono fatte comprare la lavastoviglie!

Anche oggi, caro diario,  ho ricevuto la visita dei Confratelli Custodi della Santa Verità che mi hanno interrogato sulle Sacre Scritture: sono un buon cittadino, ed ho risposto con competenza a tutte le loro questioni. Ricordo bene cosa succede a chi viene sorpreso senza una copia della Bibbia in casa e a chi non conosce a menadito le Sacre Scritture. Mio fratello due anni fa, ebbe un attimo di incertezza sul Vecchio Testamento: il giorno dopo fu caricato su un treno piombato e spedito, assieme ad ebrei, atei e musulmani al Campo di Convincimento di San Sabba. Da allora non ne ho più notizie.

Purtroppo anche le televisioni sono state bandite, e l’unico modo per restare aggiornati sugli avvenimenti del mondo è l’uso della radio. L’unico canale radiofonico autorizzato a trasmettere è Radio Vaticana (della quale dicevano, quando l’Italia era uno stato laico, che aveva le antenne che trasmettevano la fede con una potenza tale da uccidere gli abitanti dei paesi attorno) e trasmette solo musica sacra e radiogiornali. Quotidianamente ci informano dell’inizio della costruzione di nuovi luoghi di culto. E’ stato appena terminata la riedificazione del Duomo del Castellare di Bibbiena, mentre a Stia verrà edificato un nuovo Convento nei locali confiscati all’ex lanificio. Anche Poppi, una volta terminata la demolizione del Castello, avrà la propria Cattedrale al Pratello.

Quello che mi inquieta è che da un po non trasmettono più notizie sulla Guerra Santa di Liberazione. Strano, perché fino a qualche mese fa, ci riportavano quotidianamente dei nostri soldati che avanzavano e liberavano dai musulmani intere regioni della Turchia, dell’Iran, dell’Iraq, della Arabia Saudita,del Pakistan, della Indonesia e di tutti i paesi del mondo in cui la Parola del Vero Dio era tenuta nascosta da fanatici pagani. Le notizie sono cominciate ad arrivare con sempre maggior ritardo da quando alcuni inviati parlavano della difficoltà per i paesi dell’Occidente Cristiano di mantenere sedici milioni di soldati impegnati in una guerra mondiale, ed il malumore nella opinione pubblica cresceva. Chissà, io ho fede in Dio, e spero che i miei figli, arruolati d’obbligo nel Battaglione Paracadutisti “Goffredo di Buglione” tornino dal Pakistan prima possibile e tutti interi.

Caro Diario, il Signore mi perdonerà se mi sorge un dubbio: questa Guerra Santa di Liberazione iniziò per liberare l’Afghanistan dai Talebani, gli studenti coranici che distruggevano opere d’arte con la dinamite, bruciavano dipinti e libri che non si confacevano con i dettami del Corano, schiavizzavano le loro donne costringendole ad indossare dei sacchi fino ai piedi… Ma questo somiglia molto a quello che è stato fatto nel nostro paese: a Firenze, gli Uffizi sono stati chiusi, tutti i quadri che mostravano figure umane nude sono stati disciolti nell’acido, il David di Donatello è stato fatto saltare in aria col tritolo, i libri ritenuti “non consoni” sono stati bruciati, le Moschee e le Sinagoghe presenti nel territorio della Repubblica Cattolica Apostolica Italiana sono state dapprima sequestrate, poi confiscati i loro beni e successivamente distrutte pietra su pietra. Anche le donne, in quanto ritenute esseri impuri, sono state escluse dai posti di lavoro, e l’unica attività che è stata loro concessa è la casalinga o la Suora. Caro Diario, questi dubbi mi assalgono sempre più spesso. Forse sto perdendo la via della ragione, o forse mi stanno tornando alla mente i tempi in cui la Repubblica Italiana non era stata costretta a firmare i rinnovati Patti Lateranensi, con i quali il Vaticano otteneva il diritto di supervisionare la vita politica e spirituale della Nazione.

Ricordo bene quello che mi disse mio nonno dopo che, il 12 Giugno 2005, la Chiesa si mobilitò in massa per far fallire il Referendum sulla Fecondazione Assistita. Egli, mi prese in disparte e mi disse: stai attento, questi sono peggio di quello che sembrano. Iniziano a vietare la Fecondazione, poi vorranno abolire l’Aborto, poi il Divorzio, poi la ricerca scientifica. Se qualcuno non li ferma, questi ci fanno tornare al Medioevo, e quelli come me li bruceranno sul rogo.

Povero nonno. Tutti gli avvenimenti da lui previsti si sono in effetti verificati ma lui non ha potuto essere presente ai cambiamenti. Fu trovato morto un mese dopo, carbonizzato, legato ad un palo  davanti all’erigendo Duomo del Castellare di Bibbiena.

Amen.

In Nomine Patris, Filii et Spiritus Sancti.

Caro Diario,

Scrivo queste mie righe al lume di candela: che la notte sia complice di questa disobbedienza alle Santissime Leggi, e che l’Altissimo voglia nella sua infinita bontà mondare la mia anima dalla sua impudenza.

Scrivo con la fida penna d’oca su uno degli ultimi fogli che sono riuscito a conservare dal Mese dei Roghi, i 30 giorni di purificazione voluti dalla Chiesa per spazzare via dalla faccia della terra tutti quei volumi, scritti, documenti ed oggetti ritenuti non consoni alla Santa Costituzione della neonata Repubblica Cattolica Apostolica Italiana. Certo, anni fa era molto più pratico l’uso del computer, ma anche essi sono stati banditi e ne è stato impedito l’uso in quanto veicoli di perdizione e di tentazione.

Oggi, primo dì del mese di Agosto (secondo il vecchio calendario) Anno Domini MMX, si è verificato un caso molto strano. Per la prima volta dalla Giornata del Secondo Avvento (la Santissima Elezione di Papa Benedetto XVI), nella piazza del nostro paese le consuete Purificazioni e le Ordalie si sono tenute in tono minore. Da quattro anni infatti anche nelle piazze del mercato dei nostri paesi si sono svolte con regolarità tutte quelle Sacre Funzioni volute da Sua Santità Benedetto XVI  per educare il popolo alla Fede. In primis, le Purificazioni: come ai tempi in cui la Congrega per la Disciplina della Fede (di cui Sua Santità Ratzinger è stato a capo fino alla sua elezione al Soglio di Pietro) si chiamava ancora Santa Inquisizione, in ogni piazza vengono settimanalmente ricondotti alla casa del Signore tutti quegli esseri umani che hanno osato violare le Leggi della Bibbia. Le esecuzioni di omosessuali, adultere, femmine che hanno abortito, atei e sospetti tali, scienziati, filosofi  e bestemmiatori vengono infatti eseguite in pubblico quale monito per rimanere sulla retta via. Ignoro la motivazione del tono minore con il quale si sono svolte le funzioni. Forse perché oramai di gente da mandare al rogo ce n’è rimasta ben poca (la cittadina di Poppi oramai conta poco più di duemila abitanti, Bibbiena tremiladuecento, e nella intera Diocesi del Casentino gli abitanti non superano le quattordicimila anime), o forse le esecuzioni più importanti vengono rimandate al prossimo autunno. La giornata comunque si è svolta normalmente. Dopo la messa delle cinque di mattina, sono andato al lavoro. Devo dire che adesso mi trovo molto bene. All’inizio l’idea di tornare a lavorare i campi mi spaventava un poco, ma da quando sono state chiuse le Università (io ero Docente di Biologia all’università di Bologna), è stato imposto un ritorno alla vita semplice e consona ai dettami delle Sacre Scritture ed io, in quanto scienziato sono stato costretto ad abiurare le mie idee ed i miei studi (pena il rogo) e mi è stato assegnato d’ufficio questo lavoro in fattoria. Alla fine della giornata, arrivano i camion del Convento, caricano il raccolto e mi lasciano giusto il necessario per il mio sostentamento. La vita è dura, ma sono stato fortunato. Altri miei colleghi non hanno avuto la mia stessa fortuna. Almeno quattro chirurghi dell’Ospedale di Bibbiena sono stati mandati al rogo in quanto in passato si sono resi colpevoli di Aborto e non hanno abiurato. Ed alcuni scienziati che si sono rifiutati di abiurare le teorie del Big Bang e di Darwin per abbracciare la Sacra Verità di Adamo ed Eva quali padri del mondo hanno subito stessa triste sorte. Adesso le Università sono state chiuse e sostituite da Scuole di Studi Biblici, gli Ospedali della Repubblica Cattolica Apostolica Italiana sono stati sostituiti da Spedali e Sanatori gestiti direttamente da Frati e Suore, ed i pazienti vengono curati secondo i dettami delle Sacre Scritture. Di sicuro non vi si svolgono più tutte quelle pratiche contro natura quali trasfusioni di sangue, trapianti di organi, ed iniezioni di sostanze create da quella scienza che voleva sostituirsi a Dio.

La vallata di Cialtronia, dicevamo, ha oramai assimilato i difetti della intera società Italiana. Ricordo perfettamente una quindicina di anni fa, quando i pochi che avevano il cellulare lo ostentavano come uno scettro: al ristorante lo tenevano bene in vista sopra al tavolo, e si facevano chiamare dagli amici apposta per farlo trillare, per farsi notare, per ostentare la loro classe sociale. Ed il Casentinese[1] di allora, che poco si faceva intimidire da certe manifestazioni “classiste”, prontamente rispondeva con frasi di sicuro effetto, tipo “e s’è capito, ora rispondi, palle!”, oppure “e ce l’ho anche io ma un rompo mica i cog***ni a tutto ir locale!“, o la sarcastica ma altrettanto efficace  “cotesta s’è imparata, faccene sentì un’artra!“. Oggi invece, ogni Casentinese ha tre cellulari. Li ostenta, fa vedere di avere l’ultimo modello, quello col blutùt, colla fotocamera che fa anche le radiografie, col palmare incorporato, con la pennina, quello che fa il caffè, quello che si sdinocia e si piega tutto, quello grosso come un fagiolo e quello che si apre come una cozza… E vanno in giro con delle tartarughe argentate attaccate all’orecchio, perchè l’auricolare col filo ormai ce l’hanno solo gli Albanesi, e si sono fatti installare duemila euro di navigatore satellitare sul cellulare perché hai visto mai mi potessi perdere per i Guazzi…

E non ostentano solo il telefonino: i Casentinesi una volta andavano in giro con la Simca 1000, oggi si compra il gippone quattroperquattro intercùler ottomiladue, con la televisione, il satellite, il frigobar, la scialuppa di salvataggio, gli interni in Zibellino raro delle Galapagos e Marmo delle Asturie. Ovviamente, il tutto viene immatricolato come Autocarro, così non pagano il bollo!

Da Comunisti a Consumisti: il passo è stato molto breve, giusto una generazione. Nella Vallata di Cialtronia, una volta si andava al mercato. Oggi siamo invasi da colossi della distribuzione. Non c’è più il signor Mario che ci fornisce il cacio buono, ce lo spicca con maestria dalla forma e ai più piccoli ne dava un assaggio… Oggi si va all’ipermercato, si prende una delle settantasette confezioni di formaggio a disposizione (tutti uguali, fatti con lo stampino, nel colore biancastro mortaccino, nella forma e nel sapore) e si paga a una delle trenta casse con la carta di credito. E qui si può notare l’autolesionismo ai limiti del masochismo dei nostri conterranei: quando gli arrivano a casa le pubblicità di questo o quel’ipermercato va fuori di testa! Improvvisamente si rende conto di avere necessità fisiologica del cavatappi ad ultrasuoni con parabola motorizzata incorporata, dello spremiangurie a microonde con trapano a colonna per levare i semi, del frigorifero con degli scompartimenti così grandi che ci devi pagare l’ICI, della televisione ottanta pollici a schermo piatto da attaccare al muro (col muro incorporato per reggerla)… E allora via, a comprare il peggior ciarpame che mente umana possa concepire, non per bisogno, ma per lo smodato consumismo e per la boria di cui sopra. La voglia di possesso acceca il Casentinese, e non gli fa vedere che spesso i prezzi di certi supermercati in realtà sono molto più alti delle care vecchie botteghe, che oggi non regala nulla nessuno e che il famoso e tanto sbandierato tasso zero, in realtà è un animalaccio bastardo che alla fine, senza tanti discorsi, gli interessi li vuole tutti e subito, che anche se si compra con la carta di credito, il quindici del mese dopo comunque la banca i soldi li vuole comunque… Ma anche dall’altra parte, nella vallata di Cialtronia ci sono certi bottegai che grazie all’euro hanno fatto il salto della quaglia: centomila=cento euro. E sono quelli che comprano dai cinesi le merci a tre euro e le rivendono a trecento, e poi si lamentano che i cinesi li faranno chiudere!  Nella Vallata di Cialtronia, modestamente abbiamo anche noi i contadini arricchiti: sono quelli che imitano i cumenda milanesi, e vanno in giro col Rolex da sessantamilioni (pardon 30.987,413 euro), la macchina da duecentomilioni, la villa da un paio di miliardi, il troione[2] a fianco che gli costa (di revisioni e tagliandi… chi vuol intendere intenda) più della macchina. Li riconosci subito: sono quelli che appena scendono dalla stescionuègon modello carrarmato, prontamente si infilano una mano fra la trippa e la cintura e beati e tranquilli si grattano gli ammennicoli con gesti da macaco. Perché i quattrini fanno anche la classe, ed in quanto a finezza, a loro non glie lo ficca in quel posto nessuno!

Ed infine abbiamo le mogli dei suddetti, matrone ingioiellate che fino a ieri con le loro Mercedes modello Star Trek andavano a lavorare nelle ditte del Bengodi, ciarlavano un po’, si limavano le unghiette, portavano un foglietto al direttore (con calma, per non spettinarsi), e a fine mese incassavano i loro sette milioni… Non immaginate che spettacolo, oggi, vederle nei loro tailleur di Dior (rosso), sotto le bandiere del sindacato (che si intonano al tailleur…), accanto a quegli operai che loro hanno sempre disprezzato, a cercare di difendere il loro grasso stipendio!

Questa è la vallata nella quale sono nato. Come dice il mi babbo quando vuol mettere a proprio agio qualcuno che si trova in imbarazzo, “non si preoccupi, noi si viene dalla vanga!“.

E a qualcuno farebbe un gran bene ritornarci, con la vanga in mano, in mezzo ai campi.

[1] Abitante della Vallata di Cialtronia

[2] Identikit del Troione: capigliatura biondo platino, tacco a spillo di settanta centimetri, minigonna ascellare, abbronzatura tipo ustione del terzo grado, tette rifatte. Cervello: optional…

Esiste, ai confini orientali della Toscana, una vallata seminascosta dall’appennino centrale. Essa prende il nome di Cialtronia, dal latino “Valle chiusa”[1]. Questa vallata, pur essendo difficilmente raggiungibile, è lambita nei suoi confini da imponenti testimonianze: la grandezza di Firenze granducale distava solo una giornata a cavallo, la magnificenza delle Signorie di Siena, la civiltà Etrusca di Arezzo, fino a sentire anche l’aria nobile ed allo stesso tempo contadina della Romagna. Invece di essere inebriata dall’aria di tanta grandezza, la popolazione che vi abita ha mantenuto un certo distacco dalla realtà e soprattutto dalle abitudini e dalle regole che appunto dovrebbero regolare il normale svolgersi della vita quotidiana. Come nella maggior parte delle comunità “chiuse”, le abitudini della popolazione autoctona raramente seguono un filo logico o razionale, si preferisce l’imitazione. Alla logica dell’uso dei beni viene contrapposta la necessità personale, e al bene comune viene preferito il “e a me quanto me ne viene in tasca”.

Gli abitanti di Cialtronia, sono talmente rincoglioniti dal loro star (relativamente) bene, che gli avvenimenti e le occasioni favorevoli semplicemente gli passano a fianco sfiorandoli, e l’unica attenzione che il Casentinese[2] riesce a dargli è lo sguardo della mucca che guarda passare il treno. Infatti nella vallata di Cialtronia pur avendo un Parco Nazionale,  cittadine, castelli, pievi, bellezze naturalistiche mozzafiato, non esiste un adeguato servizio di trasporto che riesca a portare i numerosi turisti alla scoperta della vallata. Tanto è che i turisti sono costretti ad affittare un’auto a Firenze o ad Arezzo.

Esiste il problema della lingua: ovviamente nessun abitante della vallata riesce a spiccicare una parola che non sia in puro Casentinese[3] stretto o Italiano toscanizzato:”va giù per er dirittone de Le Tombe, poi quando t’arrivi a la còppe, a lo stòppe der pontealarchiana, tu vorti verso Arezzo”, riesce al massimo ad indicare il Casentinese all’anziano turista Olandese, atterrito da tanta cultura. Immagino il panico negli alberghi all’arrivo dei turisti: per riuscire a capire che cosa sta dicendo il turista di fronte, sono richieste almeno tre telefonate: una alla sorella per avere il cellulare del nipote, una al nipote stesso perchè accorra in aiuto (in quanto egli è studente della seconda classe dell’Itis, e come tale le lingue le mastica come nulla fosse), e la terza al vicino di casa che nel ’78 era andato in viaggio di nozze a Parigi e quindi, per inerzia, doveva per forza sapere le lingue… Alla fine, stremato, l’albergatore sfodera il coraggio della disperazione e comincia a parlare: “Buonasers, volevates unas cameras per stanottes?”

Anche le indicazioni stradali in qualche caso sono decisamente ridicole. Prendiamo l’esempio di Bibbiena. Nel giro di 200 metri troviamo: in Via Dante, a metà fra Bibbiena alta e Bibbiena Stazione, nel curvone troviamo l’indicazione sullo stato di apertura del Passo della Calla!!!  Proseguendo verso il centro storico, all’incrocio delle scuole elementari c’è un bel cartello azzurro che indica: “Cesena 92″. Mica male… Mi sarei aspettato un “Firenze 50″, un “Arezzo 32″, ma chissà perché proprio Cesena… Propongo di attaccare anche un bel “Velletri 215″, o anche un “Varsavia 1603″, non si sa mai, potrebbero fare comodo al viandante. Ma non è finita: salendo poche decine di metri troviamo un cartello che dovrebbe indicare i parcheggi presenti nel circondario. In realtà tale cartello sembra quasi il risultato di una notte di incubi di Picasso, dopo una indigestione di spaghetti a base di polpi e calamari: infatti tentacoli bianchi si inseguono e si aggrovigliano ovunque su un bel fondo azzurro, senza dare la minima idea di dove caspiterina poter parcheggiare la macchina! Rimanendo in tema, il Casentinese nutre una certa avversità verso i cartelli stradali, specialmente quelli di divieto di sosta. Sarà perchè sono troppo vistosi, o forse perché il Casentinese vuole la comodità a tutti i costi, fatto sta che da queste parti le autovetture sono abbandonate ai lati della strada non dove è consentito, ma dove fa comodo. Meglio se sulle strisce, o nei parcheggi per gli invalidi: per avere una idea della intelligenza del Casentinese automobilista, basta passare mezz’ora nel parcheggio del Centro Commerciale di Bibbiena. I primi parcheggi che vengono occupati sono quelli riservati agli invalidi, ovviamente da gente che invalida non lo è neppure se si cerca nelle generazioni precedenti. A chi me ne farà richiesta, sono in grado di fornire le generalità del genio che ha affermato: “Ora vado dal Sindaco e li faccio spostare da un’altra parte quei parcheggi per gli invalidi: proprio vicino all’entrata li dovevano mettere?”. Premio Nobel per la Demenza. Inoltre sempre nella stessa zona, il Casentinese ama lasciare la macchina sotto il cartello di divieto di sosta lungo la strada, attraversare sotto la pioggia e a piedi duecento metri di parcheggio creato apposta per contenere 1000 vetture come la sua,  infilarsi nel supermercato, uscirne con una decina di borse da dieci chili l’una, farsi altri duecento metri a piedi smadonnando e sudando come una lontra, e finalmente tornare alla vettura… Quando poteva tranquillamente parcheggiare nel parcheggio (da qui il nome, appunto), a 5 metri dall’entrata del supermercato. Ma si sa, il Casentinese ama il brivido, e la sfida: per sentire l’adrenalina c’è chi si butta col paracadute e chi si limita alla roulette russa col divieto di sosta… Ovviamente nella Vallata non sono amate le forze dell’ordine: infatti quando il Casentinese piazza la vettura nel parcheggio degli invalidi, e gli viene portata via dal carro attrezzi, il Casentinese inveisce e sbraita contro l’agente di turno, difendendosi con le solite frasi: “sono arrivato ora”, “vado via subito”, “ho accompagnato il mi zio cieco”, fino al classico dei classici “ma lei non sa chi sono io”. E quando si parcheggia col gippone nel borghiciattolo delle nostre cittadine medievali, sigillando il traffico per intere ore, creando ingorghi chilometrici che si vedono fin dalla consuma, al vigile che gli sta facendo la multa riesce a dire: “oh, vado via subito, eh!”. Anche ai Carabinieri, quando i Casentinesi vengono sorpresi senza cinture, di notte con i fari spenti, senza il triangolo, con la targa penzoloni, in sette in auto, sotto i fumi dell’alcool, riescono a dire: “andate a prendere i ladri invece di dare noia (!) alle persone per bene (???)”.

Ma il vero tarlo del Casentinese è la boria. L’apparire, il mostrarsi, il competere fa parte del DNA del Casentinese. E così abbiamo i giovani che escono da scuola e lavorano per un anno come vice-aiuto-manovale giusto per comprarsi il Rolex da duemila euro, perché con quello al polso, il sabato sera al Cirulà, le spose gli cascano ai piedi. Si mangia pane e cipolla per due anni, ma alla fine si compra il Mercedes! (non importa se dopo sei mesi si deve rivendere perchè non ci si fa a mantenerlo). Abbiamo operai da seicento euro al mese che devono mantenere delle matrone ingioiellate che necessitano della palestra, della cura omeopatica, del parrucchiere, della borsetta di Prada, del corso di Yoga (o yogurt, tanto per loro è uguale)…


[1] Più o meno…

[2] Abitante della vallata di Cialtronia

[3] La lingua ufficiale della vallata di Cialtronia

Gli americani ci hanno sempre fregato con la lingua. Loro non hanno la due-mari da Fano a Grosseto: loro fanno il Coast-to-coast! Hanno le highways, che sarebbero le nostre autostrade, ma vuoi mettere la Salerno-Reggio Calabria con la loro mitica Statale 17? Da loro potevi incontrare Kerouac in un Motel del Nevada col mozzicone di matita che scriveva su un blocco polveroso, da noi al massimo incontri Pippo Baudo all’Autogrill di Badia al Pino che addenta un topaccino al formaggio.

Loro raccontano: “Abbiamo preso la vecchia Cadillac del 65 del padre di John, ed abbiamo puntato a sud, verso il Nebraska. Ci fermammo solo al tramonto…”. Si ha la sensazione degli spazi immensi, del sole sul parabrezza della vecchia vettura cromata con la cappotta bianca tirata giu, del tramonto imminente, dei motel nel deserto…

Noi, in Casentino come possiamo controbattere? “S’è preso la Punto der babbo de Riccardo, siam partiti da Campolombardo… Poi, al Ponte All’Archiano s’è trovato la Sita e siamo arrivati a Ceciliano che l’era buio”. Non è la stessa cosa, per la miseria. Abbiamo delle difficoltà oggettive, che nella nostra vallata diventano ancor più evidenti a causa della condizione della viabilità, che è arrivata ad uno stato di coma irreversibile.

Le strade di accesso al Casentino, principalmente sono quattro: la Consuma, il passo dei Mandrioli, lo Spino e la Strada Regionale 71. La Consuma è un passo di montagna e come tale è di  giustificata impercorribilità. Stesso dicasi per i Mandrioli ed in parte per lo Spino. Ma per il Casentinese autoctono, è la Strada di fondo valle l’arteria principale di scorrimento (e di giramento…). Molti nostri concittadini infatti lavorano al di là del “groppino”, ovvero da Rassina in giu, ed in quelle poche decine di chilometri che devono percorrere, si concentrano una serie di follie seconde solo, a mio modesto giudizio, solo alla famigerata Salerno-Reggio Calabria.

Questo maledetto serpente d’asfalto, ogni anno infatti inghiotte con le proprie fauci ore di lavoro perdute, ulcere gastriche post-incazzamento, centinaia di euro di bastardissime multe, e come se non bastasse, anche vite umane. E così, giornalmente, come novelli San Giorgio siamo costretti a combattere contro questo tremendo serpentone e contro le sue terribili armi. La più temibile arma del Serpentone Regionale 71 è il tremendo “Camion Prefabbricatorum”. Dotato di una lunga coda poco semovente e di una scarsissima inclinazione al trotto, esso se incontrato provoca grandiosi ingorghi, immense ulcere, travasi di bile, e talvolta code ininterrotte dal Corsalone a Ceciliano. Inoltre, è assai avvezzo allo “scodamento”, specialmente in località Calbenzano, dove spesso due o più di tali bestioni si danno appuntamento proprio sul ponticello sul fiume Talla, e per evitarsi a vicenda bartano travi e prefabbricatame vario nella linea di mezzeria. Un antidoto a questo malanno ci sarebbe, e si chiama “Ferrovia”. Peccato che sia scarsamente utilizzata. Il Serpentone Regionale 71 è dotato in oltre di numerose antenne, simili a infami padelle bianche col bordo rosso, chiamati “Limitatio di Velocitas”. Al centro di tali padellacce, vi sono riportati dei numeri, solo le decine, rigorosamente fino al numero “50″ (anche se imperano i “30″). Tali antenne, o cartelli, contribuirebbero all’intasamento della carreggiata se solo qualcuno rispettasse il limite imposto. Perché quando il limite imposto è assurdo, è anche assurdo pensare di rispettarlo (avete provato a fare i 30 all’ora nel dirittone di Calbenzano?). Se malauguratamente qualche tapino è costretto a rispettare il limite, magari perchè gli sono rimasti 3 punti sulla patente, esso sarà la ragione di feroci maledizioni (“vaffanculatio“) degli altri automobilisti costretti ad arrivare a destinazione dopo il tramonto. Quel che è peggio è che questi cartelli vengono subdolamente piazzati in posti strategici da alacri servitori per rimpinguare le casse dei Comuni ai quali appartengono i terreni sui quali il Serpentone stesso giace. Infatti essi sono la carota buttata in mezzo alla strada per attirare gli automobilisti verso la più terribile delle armi, che ha un nome ben preciso: “Autovelox”. Questo strumento è tanto ridicolo a vedersi (sembra un animalaccio malfatto, secco secco e con due occhi distanti) quanto tremendo al morso. Egli è per sua natura subdolo e carogna, e come tutti gli esseri infami sta sempre nascosto. Egli manifesta la propria presenza solo qualche settimana dopo l’incontro, spedendo a casa dello sfortunato una raccomandata con diverse centinaia di Euro di saluti. Le “tane” preferite dell’Autovelox sono: a Bibbiena in località La Nave, al Corsalone nella diritta di Fontechiara, a Rassina si può trovare all’inizio del cavalcavia (sparato da dietro un furgone civile civetta), all’incrocio per Chitignano o nella zona dello stadio (anche qui ben nascosto all’interno di auto civili), e anche nello spiazzo che conteneva una piccola casa cantoniera alla fine della diritta che si trova dopo Villarosa (tra il distributore e l’allevamento di struzzi). A Subbiano ancora meglio, le “tane” sono disseminate in tutto il tratto che attraversa il centro abitato (dalla famigerata casa cantoniera sulla sinistra andando verso Arezzo, allo spiazzo privato qualche decina di metri dopo, fino al marciapiede, lato destro, di fronte al distributore). Gran brutta bestia questo Autovelox, gran begli incassi per i Comuni…

Ma non è finita qui, per i martiri della SR71. A queste possenti armi si uniscono anche le maledizioni naturali. Si parte dalla onnipresente Punto grigia, dotata di proprietà invariantiva: infatti può essere farcita di suore, di Fiorentini o di ottantenni ma l’andamento è sempre lo stesso: ondulatorio, sinuoso, incerto, lento. Poi troviamo il semaforo di Ceciliano: vengono anche da fuori dell’Europa per vederlo, fotografarlo e cercare di capire a che diavolo serva. Pare che l’unica sua funzione sia quella di unire fisicamente Ceciliano con Castelnuovo di Subbiano (7km circa) in una unica allegra coda. Abbiamo ancora le Pande senza freccia (o meglio la freccia ce l’hanno, ma non viene mai messa quando girano), i “cellular-dipendenti“, biechi personaggi che se ne infischiano delle regole della strada e delle leggi della natura che vivono con il telefono cellulare attaccato all’orecchio, chiaccherando, smadonnando, sbraitando, cercando un foglietto nel cruscotto per prendere appunti: il tutto mentre ti arrivano contro ai 90 all’ora.

Per concludere, anche le Forze dell’Ordine danno una mano: dove sarà piazzato il posto di blocco? In un tratto di strada pericoloso e quindi da controllare attentamente o nel bel mezzo di un ingorgo già esistente, dove il fermare un veicolo a bordo strada significa bloccare tutto il traffico dell’Italia centrale da Mantova a Frosinone? La risposta è fin troppo facile.

Come fare quindi a sopravvivere alla strada di fondo valle? La risposta è più semplice di quanto sembra: non usarla. Per arrivare ad Arezzo sani e salvi, una volta arrivati a Rassina, girare verso Talla. Prendere la strada della “Zenna” che porta fino a Subbiano. Da qui, fare la vecchia strada che da Castelnuovo di Subbiano e Marcena porta a Ponte alla Chiassa. Girare verso Anghiari, e all’altezza della Chiassa Superiore, prendere le indicazioni per Tregozzano ed Arezzo. Esagerato dite? Da Poppi ad Arezzo si risparmiano 20 minuti di auto, ulcere gastriche, rischio di autovelox, nessun camion, nessuna coda chilometrica, nessun semaforo del menga: mica male per una trentina di chilometri!

“Economia: ultimi giorni per pagare la… (pausa imbarazzata).. AI-VI-EI”
(Leggasi: “Pagare l’IVA”, telegiornale TV privata toscana, Marzo 2005)

Veramente curioso, il Casentinese. Mi piace osservare il comportamento dei miei conterranei, si percepiscono molti aspetti della preparazione culturale o presunta tale degli abitanti della nostra vallata. E spesso, nell’ambiente di lavoro come nel tempo libero, sento pronunciare la fatidica frase: “e che ne so, è scritto in inglese”, anche davanti ad una targhetta con su scritto ON/OFF. Non voglio entrare in merito al fatto che da alcuni decenni la lingua inglese viene insegnata fin dalle scuole medie, quindi dovremmo avere assimilato qualcosina di più del banale YES e NO, ma quello che mi sorprende è che questi nostri conterranei non-anglofoni, poi compiono delle strepitose evoluzioni con inglesismi beceri e scimmiottati che farebbero morire di crepacuore più di un Accademico della Crusca! Dobbiamo ammetterlo, la nostra vallata è oramai una colonia degli Stati Uniti d’America, ed il mezzo di invasione non è stato il carrarmato (che essi usano sovente), ma i mezzi di comunicazione, che per compiacere il vincitore della seconda guerra mondiale, da sessant’anni ci propinano le peggiori oscenità, mondate dal fatto di essere rigorosamente Made in USA. Esagerato? Mica tanto. Una volta un impiegato di Poppi diceva: “Maria, domattina piglio la macchina grossa per andare al lavoro, devo portare i documenti per la riunione”. Oggi, no: Oggi il manager prende la station-wagon, perchè deve portare le slides da mostrare al meeting, per far vedere i reports ai partners… E se si raggiunge il target con il budget a disposizione, si ottiene anche una standing ovation.

E la moglie, prende la city car per andare a fare shopping al discount, comprare i prodotti visti negli spot, pagare con la credit card (non cash) per poi andare al wellness center, dove il trainer la attende per delle session di fitness, step, e body building…  E io pensavo che dovesse prendere la macchina per andare a fare la spesa e poi in palestra!

Alla sera,  si andava al bar o in birreria, si beveva una birra e ci si rimpinzava di salatini. E se si decideva di rimanere in casa, si guardava un po di televisione. Oggi, andiamo al pub o al wine bar, prendiamo un cocktail o un energy drink, e ci facciamo servire chips, nuts o popcorn. Altrimenti si rimane in casa, a vedere un talk-show in TV, condotto da un noto anchorman, con i soliti ospiti che parlano in slang romanesco.

I nostri ragazzi dovevano essere vestiti bene per non sfigurare all’ITIS ma oggi bisogna avere un look molto trendy, come quei modelli che si vedono nei magazine di fashion o nei book fotografici. E anche in pratomagno, non si fanno più delle passeggiate ma del trekking! Che pena. Ma all’oltraggio non c’è mai fine: alcuni riescono pure a massacrare in un colpo solo la lingua italiana e quella latina. Avete mai sentito pronunciare le parole latine mass-media nella maniera corretta, cioè esattamente come si scrive? No, naturalmente viene sempre pronunciata “mass mìdia” se va bene, e se va male anche “méss mìdia”, perchè si presume che tutte le parole che non finiscono per vocale siano state importate dagli americani col piano marshall. E quante volte ho avuto a che fare con gente che mi chiedeva un DVD chiamandolo DI-VI-DI. Non con la VU come l’alfabeto italiano impone, ma con la VI dell’alfabeto inglese…

Vogliamo poi parlare della fantasia dei negozianti?  E’ un proliferare di “Scarp House”, “Occhial Paradise”, “New Modes and borsetts”, “Vitis and bullons Market”…

Ammettiamolo, siamo proprio un popolo di Nando Moriconi, come lo strepitoso Alberto Sordi ha saputo fissare su pellicola: siamo clamorosamente ignoranti, ma con un mito in testa: Uozzammerica, auanasgheps, e bye bye!!!

P.S. Continuate a festeggiare Halloween, la festa delle zucche vuote: io lo farò quando gli americani festeggeranno il 25 Aprile!

Quando si verificano determinati eventi astronomici, narrano le leggende che la terra ne subisca gli effetti nefasti. Il passaggio di una cometa, l’allineamento dei pianeti, si dice che portino sconvolgimenti tellurici, sciagure e sfortune di qualsiasi foggia.

C’è una data del calendario nella quale sembra che il destino abbia voluto concentrare tutti i cataclismi, le comete e le sfortune del globo terracqueo. L’8 di Marzo è la data nella quale, dall’imbrunire, delle orde di donne sciamano per il territorio in maniera disordinata, tutte concentrate verso una meta: la trasgressione. In questa data, ogni donna anagraficamente compresa tra la pre-pubertà ed il post-mortem, sente l’istinto che le porta, almeno per una serata, ben lontano dal proprio partner (se ne hanno uno), o a far finta che non glie ne importi nulla di averne uno in caso di mancanza di esso. In questa data, dicevamo, le strade si riempiono di spose “scosse” (come si dice dei cavalli senza cavaliere al palio di Siena) dirette verso i luoghi di perdizione di turno. Ma procediamo con ordine. I primi esemplari di spose scosse si cominciano a vedere nei posti di ritrovo intorno alle 21. Sicuramente una ora tarda per andare a cena… Sai com’è, l’appuntamento era per le 20, ma le donne fin dai tempi di Eva si portano nel loro bagaglio genetico un’oretta di ritardo (alcuni vangeli apocrifi riportano che anche Nostro Signore, dopo l’estrapolazione della costola ad Adamo, dovette aspettare diverse decine di minuti per ottenere la donna: infatti era indecisa sulla borsetta da abbinare alla foglia di fico…).

Una volta raggruppate le truppe con qualche decina di telefonate (perchè qualcuna aveva capito: “in piazza a Soci sotto il cinema”, altre “in piazza a Poppi, per la via del Cinema”, altre “Nella piazza dove fanno il cinema”, e vengono ritrovate a girovagare a Cinecittà…), via, si parte per la meta! Prima tappa il ristorante, dove si consumerà la prima parte del dramma. Durante quella cena, aspiranti modelle longilinee ed allampanate, abbonate ai frullati di carote magre devitaminizzate e sedani “light” crudi, vengono viste sbranare interi quarti di bue arrosto, qualcuna con gli occhi iniettati di sangue e qualche setola che gli spunta da dietro l’orecchia…

Alla fine del baccanale, dopo aver polverizzato tonnellate di kilocalorie e massacrato moralmente mariti, fidanzati ed aspiranti tali, l’orda di lanzichenecche sciama come uno stormo di cavallette verso il locale della perdizione. E se è vero et sacrosanto che donna al volante pericolo costante, la pericolosità delle strade, quella sera, è pari solo ad una passeggiata per le strade di Chernobyl quando piove… Il culmine della serata, si ha all’interno della discoteca prescelta: una vale l’altra, tanto tutte propongono lo stesso spettacolo di finti brasiliani (di Campobasso) tarchiatelli ipervitaminizzati in perizomi leopardati dai nomi improponibili: “Osmannoro Muscle Man”, “Hot Certomondo Night Stars” e così via… E qui, nonne, mamme e nipoti, rischiando l’extrasistole si buttano ai piedi del palco dove gli smutandati agitano le natiche glabre, invasate per la vista della ciccia e per i fumi del Galestro: ecce donna! Stimate avvocatesse, luminari cardiochirurghe, dottoresse plurilaureate finiscono ignobilmente in mezzo ad una pista, “zerbinandosi” ed umiliandosi fra un “sia-a-mo i watussi, gli altissimi neeeegri”, ed un “brigitte bardò bardò”, avventandosi come iene sulla carogna per accaparrarsi le camicie graveolente dei perizomati. Quando lo spettacolo rasenta pericolosamente il codice penale, finalmente, l’alcool inizia a fare effetto, e le spose, quasi all’unisono, si spengono. Passano dalla euforia al sonno REM in una manciata di secondi. Allora mestamente, si dirigono al guardaroba, ritirano il lampadario che hanno portato come vestiario ed accessori e tornano a casa. Il giorno dopo, come se niente fosse, alle sette sono già in piedi a preparare il caffellatte.  In questo, perlomeno, sono da ammirare…

Eh, si. E’ proprio un bel dilemma per noi maschietti: l’otto di marzo, è bene starsene a nanna ed evitare il pericolo o corriamo il rischio, e ci avventuriamo in una giornata campale? Io, l’otto, non m’arzo!