Questo articolo è stato da me scritto nel mese di Settembre 2001 per la rivista “Casentino 2000”. A mente calda, a poche ore dall’attentato alle Twin Towers di New York. Riletto oggi, sembra che siano passati pochi giorni….

E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento
Salvatore Quasimodo

E’ facile, in certi momenti dire: “l’avevo detto”. E’ più difficile, in momenti storici come questo che stiamo vivendo, sentirsi degli esseri umani. Davanti a certi atti, davanti alla storia cambiata per sempre dalla follia di pochi esseri, definiti umani solo per la loro appartenenza a tale razza, viene quasi da invidiare il comportamento degli animali. Loro sono guidati dall’istinto, dall’intuito, e non hanno bisogno bisogno di alibi né di scappatoie morali. Sto scrivendo queste poche righe controvoglia, cercando di fermare sulla carta qualcosa di quello che mi passa per la mente in questi momenti. New York è dappertutto: la vediamo dalle televisioni, le radio raccontano l’orrore, si mettono da parte i giornali per farli leggere un giorno ai nostri figli. Si pensa che non sia vero, che sia tutto un incubo, e che domani la

Il secondo aereo centra la torre

sveglia ci riporti alla normalità di un mondo brutto, si, ma non come quello nel quale ci siamo ritrovati da questo martedì di Settembre. Tutto si mescola dentro. Le immagini delle fiamme, le persone che cadono dal centesimo piano, si fondono con i ricordi dei libri e delle poesie studiati a scuola, scritti per avvenimenti del passato che mai ci saremmo pensati di dover rivivere. Come possiamo cantare noi oggi, parafrasando Quasimodo, con migliaia di morti abbandonati sulla piazza, con le madri che cercano il proprio figlio fra le macerie? Come sarà il domani? Cosa potrà accadere ancora?

Cosa proveremo riascoltando Giovanni Lindo Ferretti:

Annus horribilis, in decade malefica,
decade malefica in stolto secolo,
secolo osceno e pavido,
grondante sangue e vacuo di promesse.

Il secolo appena passato è stato chiamato il secolo delle guerre. Quello che ci aspetta forse sarà il secolo del sangue. I campi di battaglia si sono spostati. Non più tronfi generali a spostar bandierine su una carta geografica. Oggi le guerre sono combattute da singoli. I mandanti spesso non si conoscono neanche, ma i loro soldati sono quotidianamente all’opera. Sparando sulla folla al mercato, imbottendosi di esplosivo e facendo saltare in aria un autobus in nome di Allah, cristiani protestanti che tirano pietre e bombe molotov contro gli scolari cristiani anch’essi ma cattolici, colpevoli di vivere in una protestantissima ed europeissima nazione occidentale, oppure dirottando quattro aerei di linea e facendoli cadere sopra centomila persone. In questi giorni si parla di guerra. Non credo che si arrivi a tanto. Lo spero, perlomeno. Perché la Guerra, quella con la “G” maiuscola ha delle regole, dei nemici ben individuabili, un proprio codice, l’intrinseco rispetto del nemico. Mentre le guerre moderne non conoscono nulla di tutto ciò. Le parole d’ordine sono: morte, sterminio, annientamento a tutti i costi e con qualsiasi mezzo.

Lacrime di eroe...

La rabbia è il sentimento col quale si apre questo ventunesimo secolo. La rabbia del folle che uccide, e la rabbia di chi piange le vittime. Noi oggi siamo fratelli delle migliaia di persone uccise, ed il nostro sentimento prevalente è la rabbia. Non nascondiamoci dietro alle solite facciate: il perdono e la comprensione sono cazzate, sono pure invenzioni che fanno solo audience in TV. Nessuna anima può essere tanto alta da poter pensare di perdonare chi ha commesso certi atti. Io provo rabbia verso quei quaranta pazzi. Non mi nascondo dietro a maschere insulse. Quei tre minuti di silenzio, quando tutto il mondo si è fermato per rendere omaggio alle vittime, sono stati i tre minuti più terribili della mia vita. E provavo rabbia, non di certo voglia di perdonare. Ma tutta la rabbia che provavo e che provo tuttora mi istiga a cercare una soluzione per far si che certe cose non possano più succedere. Non c’è volontà di annientamento nella mia rabbia. C’è volontà di capire perché sia stato possibile che certe cose siano accadute.

I popoli hanno il dovere di cercare di adoperarsi per evitare certe tragedie, seguendo nient’altro che il proprio istinto. Proprio come gli animali. Lasciamo da parte gli stereotipi, i pregiudizi, gli odii, i dogmi religiosi ed impariamo a ragionare seguendo l’esperienza e l’istinto. Impariamo a comprendere il mondo che ci circonda. Parliamo l’uno con l’altro. Facciamoci delle opinioni e confrontiamole, al massimo ci potranno dare dei coglioni. Nella nostra personale sfida contro l’orrore, Il ragionamento dovrà essere la nostra tattica, il dialogo la nostra arma, il dolore la motivazione. Gli assassini sono dei singoli che riescono a compiere atti enormi nella loro atrocità. Ognuno di noi, da solo, può cercare di dare un contributo per far si che nulla di quello che è accaduto si ripeta. E sarà altrettanto enorme il risultato. In questo modo, i governanti non avranno più la necessità di dichiarare guerre, con la “g” maiuscola o minuscola.


Il lungo serpente multicolore di utilitarie oberate da abnormi carichi fin sopra al tettino rovente, si snoda come ogni anno dall’italico e neo-mediasettico entroterra e attraversando impervie corsie di asfalto perlopiù sconnesso, ancestrali cantieri aperti da tempo immemorabile e spesso tramandati di padre in figlio, affrontando insidie terrene (fabbisogni corporali del citto piccino) ed ultraterrene, arriva finalmente alla agognata località balneare, dove finalmente dar pace e sollievo a spirto e membra. Eh si, perché notoriamente l’Italico Genio, lui che per la bellezza di 335 giorni si è sorbito qualcosa come 1936 ore di lavoro vessatorio (virgola ventisette, direbbe qualcuno…), 5360 ore di moglie petulante e francamente anche un po’ rompicoglioni, 2680 ore di sòcera, il che è tutto dire, 77,5 ore di partite in televisione della propria squadra, fra campionato coppe ed insulsi tornei cavallereschi vari (comprensivi di tempi di recupero), senza che questa abbia cavato un ragno da un buco nonostante la milionata spesa per mettere su la parabola, le spade di Damocle del mutuo, l’assicurazione della Punto, le rate per la suddetta utilitaria (e un siamo neanche alla metà), la luce, il telefono, il gàsse, la figliola che torna alle cinque da ballare tutti i sabati, ebbene, egli, l’italico genio sente la necessità fisiologica di un supplemento di Golgota, e combatte fino allo strenuo delle forze per raggiungere il proprio masochistico scopo.

Eccolo quindi la mattina che si autoflagella con alzatacce feroci ad orari improponibili anche per un frate cercatore per il nobile fine di effettuare, da cittadino modello con tanto di tessera dell’Aci, la partenza intelligente. Esattamente come gli altri quaranta milioni di suoi connazionali che hanno messo la sveglia alla

Ma come si sta bene, non c'è quasi nessuno...

stessa ora per lo stesso scopo, con la conseguenza di essere risucchiati nell’ingorgo laocoontico fin dallo “stop” in fondo al vialetto di casa. Una volta arrivati all’autostrada, nasce il problema del carico. Infatti nel tettino della Punto sono state stipate masserizie, derrate e ciarpame vario, dal peso che stroncherebbe un carrarmato ed assai ostili verso i legacci elastici che dovrebbero contenerle in masse più o meno parallelepipediformi, ma esse, obbedienti alle leggi della gravità tentano in ogni modo di raggiungere l’asfalto. Lettini pieghevoli in ghisa forgiata, ombrelloni modello circo Orfei, poltrone massaggianti per le cervicali della nonna, fornelli a gas con scorta di bombole a seguire, cassettone di camera in noce massello e piano in marmo delle apuane (ricordo della nonna, bònanima) zeppo di mutandame, calzeria e camiciolame, il ficus di due metri che la donna non può lasciare a casa che va annaffiato tutti i giorni, parinosennòsesecca, la Vespa 125 “primavera” verde ramarro col portapacchi cromato che pare ancora nòvo, la bicicletta dei pokemon dei bimbi, le immancabili valigie fosforescenti del mercatone di varie fogge e metrature, ondeggiano pericolosamente al di sopra della vettura, provocando una certa apprensione nel guidatore e ancor di più nelle vetture che tentano, a loro rischio e pericolo, di superarle.

Così fra centinaia di chilometri di asfalto rovente, di finestrini tenuti su perché 1) la Punto l’aria condizionata non ce l’ha (scelte tecniche del costruttore: o Zidane o l’aria condizionata…) 2) la gentil pulzella i finestrini li

La vettura per eccellenza dell'italico genio: la PUNTO GRIGIA!

vuole non solo chiusi, ma sigillati col bostik perché si piglia il vento poi viene il mal di gola, meglio patire i 76 gradi centigradi, che la sofferenza nobilita l’animo, collisioni sfiorate con immensi mammuth gommati pluricassonati targati Caserta con veri e propri altari posti su nicchie absidali illuminate con luci psichedeliche da discoteca accanto alla cabina di guida, con ivi incastonati PadriPii veglianti, SanteMadri preganti, posters di papi da Leone VII in poi, clamorosi inchiodoni alla vista di qualsiasi autovettura ferma al bordo della strada (timore da forze dell’ordine è la diagnosi), ore e ore di “dammitrepparolesolecuoreamore” sparate dalla cuffia della citta piccina a volumi aeroportuali, suocere petulanti e sventolanti “perché in questa macchina ce se more dar cardo”, l’Italico Genio giunge, dopo svariati giri della lancetta piccina alla pensione “Da Ciro e Carmela”, con comodi cameroni multifamiliari modello hangar militare, aria condizonata (se si riesce ad aprire la finestra, incastrata dal ‘56), piscina (palude a 50 metri dall’entrata), vista mare(poster di Capri nell’atrio). Ma l’importante è esserci, come disse il sindaco di Hiroshima nel ’45. Che la festa abbia inizio! Abbandonato lo scarpone di cuoio d’ordinanza e il calzino di lana, l’Italico Genio finalmente mostra agli alluci uno squarcio di mondo ma solo per pochi attimi, perché è d’uopo non abusare del sole e quindi via, calzino mistolana (verde) e sandalo rigorosamente aperto (fresco).

La camiciola bianca del ’74 alla Alberto Sordi e il pantalone corto (pietosa imitazione del bermuda) ritagliato dalla moglie da un paio di calzoni di velluto marrone completano l’improbabile vestiario. Il momento saliente dell’essere in vacanza è l’iniziazione alla spiaggia. Come ogni anno, l’Italico Genio si precipita in spiaggia con l’intenzione di prendere la miglior tintarella possibile per far crepare d’invidia il vicinato. Per questo si unge con creme pre-sole, pre-protezione, protezione antiUVA, antiozono, antisalsedine, antipolivinilperossidoiperborati (hai visto mai, con tutti gli stranieri che c’è in giro), per finire poi con le creme post-sole, post-protezione, emollienti, tonificanti, rinfrescanti, rassodanti, esfolianti (alzi la mano chi sa che cosa significa), corroboranti, depauperanti, ottovolanti. La tecnica dell’Italico Genio è semplice: alle nove in punto sotto l’ombrellone, che assieme a due sdraio per quindici giorni d’Agosto costano come lo 0,3% del Nasdaq. La posizione iniziale è quella denominata “Nazareno”: braccia larghe e mani stese, gambe unite, testa leggermente reclinata. Tale posizione viene mantenuta fino alle 11, undici e dieci al massimo. Poi si passa alla posizione “Sindone carpiata rovesciata”, ovvero con un tuffo olimpionico si tuffa sull’asciugamano rovente, pancia in giù, braccia e gambe distese, faccia compressa nella sabbia. Con tutti i liquami bituminosi cosparsi sul corpo, zone dell’asciugamano si impregnano ed assumono una colorazione antropomorfa che si può paragonare al sacro lenzuolo. A metà della cottura, normalmente si hanno le visioni. Ventenni gioconde scorrazzanti con la quarta di reggiseno ed altrettanto tonnellaggio di mutanda mettono a seria prova le malconce coronarie dell’Italico Genio ed ancor di più le proprie convinzioni etico-religiose inculcate a scudisciate dalle Orsoline cinquantanni prima, quando le ventenni non le avevano ancora inventate. Poi, fra i “babbomecomprilacocacola”, le girandole di collanine, magliette col coccodrillo artefatto, occhiali di colori che avrebbero infastidito Andy Wharol, cittini che sventolano turbini di sabbia ovunque intorno nell’indifferenza dei genitori, le gazzette dello sport, si arriva all’una, quando scatta l’ora “X”. E via quindi, con l’arrotolar di asciugamani che è giunta l’ora del desco. Carovane di novelli beduini percorrono le impercettibili dune di quell’inesistente deserto di sabbia per giungere all’agognata tavola. Quantità ignobili di carboidrati serviti da Carmela in persona, vengono uccisi e fagocitati da stomaci da altoforno, conditi da improbabili sughi colloidali in cui navigano molti “potrebbe” (potrebbe essere pomodoro, potrebbe essere carne…) conditi con quantità industriali di olio esausto delle corriere, e composti parmigian-polimerici grattati sopra in abbondanza. Zuppe di pesce fresche fresche perché appena reduci dal banco frigo della Còppe, composti poliuretanici ben guarniti serviti a mò di dolce, caffè dal colore ed aroma sospetto e poi via, verso il letto, perché se un ci si riposa in vacanza… Poi alle 15 si ripete il rito ciclico: crogiolatura in spiaggia fino alle 19 in punto, frugale pasto alle 19:30 (9600 calorie lasciate ignobilmente sul campo). Ma è la sera che l’Italico Genio da il meglio di se. Dopo aver digerito le derrate alimentari di quell’olocausto chiamato cena grazie ad un limoncello fatto in casa (grappa del discount + Last al limone), si scatena la vita. Reindossato l’immancabile compagno mistolana (verde) sotto al sandalo, via, per il corso che è tutta vita! Ogni località balneare ha il proprio corso. La via centrale del paese, che in inverno solo pochi ne teorizzano l’esistenza, diventa un brilluccicar di vetrine, un florilegio di tavolini all’aperto, un’ epidemia di scaffali con libri sui tarocchi, intere pareti vengono affisse con ciabatte gommose in esposizione, i gelatai arrivano col carrello della mercanzia fino alla linea di mezzeria oramai, senza più scopo, e curiosi manufatti ottenuti incollando quantità considerevoli di resti di cacciucco, cozze ed arselle vengono mostrati con ammiccanti messaggi: “Saluti da…”, “Tanti saluti da…”, “Salutoni da…”. L’Italico Genio si sente orgogliosamente un’Indiana Jones: conosce alla perfezione ogni angolo della cittadina grazie alla quarantennale frequentazione degli stessi luoghi, e guida con piglio sicuro il resto della famiglia verso le mete desiderate.

Tipi da spiaggia

Il gelato si piglia al chiosco dopo la pineta prima del bagno cinquantasette, esclama, riscuotendo gli sguardi d’orgoglio dei figli che non sapevano di avere un padre cosmopolita. E come sempre, nel tragitto casa-gelataio distante circa 600 metri, ci si sente come a casa. Nel senso che l’80 per cento delle persone che si incontrano sono Italici Genii del proprio paese, del proprio quartiere, del proprio condominio. Nel percorso di ritorno, saziati gli stomaci e ristorate le lingue col fresco cono bigusto (cinquemila per sedici grammi: costa più della cocaina) ci si dedica allo shopping. E così ogni giorno vengono portati a casa: “Curarsi con le erbe”, “Vita di Padre Pio”, “La Divina Commedia” (a casa ce ne sono undici copie ma il titolo l’hanno sentito nominare, vuol dire che è un bel libro e che va comprato), Crema nutriente post-dopo-anti-pro qualcosa alle vitamine dalla A alla ultima lettera dell’alfabeto cirillico incluso, in comodo flacone famiglia da 2 chili e sette con pratica maniglia per il trasporto ed un braccialetto gonfiabile in omaggio, ciabatte infradito con zeppa di trentasette centimetri sul livello del mare non per la figlia ma per la mamma, girocollo di gusci di lumachine con incastonato a mò di ciondolo un bassorilievo di Padre Pio (sempre lui), ricavato da un unico blocco di basalto del Sudafrica, palle di vetro con dentro figure non ben identificate ma che ricevono la neve (si proprio la neve) in testa se capovolte per il parentado che ha avuto la sfortuna di rimanere a casa. A tarda ora, spossato dai 38 gradi esalati fino a tarda notte dal cemento e dall’asfalto, con le proprie borse di acquisti (metà stipendio di un dirigente Fiat), l’Italico Genio fa rientro alla pensione dove si concederà una salutare dormita tra un tentativo e l’altro di schiacciare stormi di zanzare tigre dalla dimensione di una carota, sudando come Coppi sul Pordoi dal caldo da deserto africano, clacson dalla strada, urla di giovinastri che sono ancora in piedi dopo le undici di sera, discoteche regolari e quelle semoventi (Punto grigie pluricarenate e spoilerizzate, con impianti Hi-Fi a bordo ed amplificatori da far impallidire Radio Vaticana, sparanti “vuvvuvvumipiacitu” a volumi che travalicano il decibel per entrare nella scala Mercalli. Il giorno dopo, e quello dopo, e quello successivo, la storia si ripete. Ogni gesto viene inesorabilmente rivissuto nei quattordici giorni a seguire. Il quindicesimo giorno, egli si riposò. Infatti l’ultimo giorno è in genere trascorso dall’Italico Genio tra la Guardia Medica ed il Pronto Soccorso a causa delle ustioni di secondo e terzo grado riportate dalla maggioranza dei componenti il nucleo familiare, diarree del figliolo piccino, siringate di Voltaren per la nonna sennò un cammina più, test di gravidanza per la figliola (sopra i quindici anni è quasi d’obbligo).

Prima....

Alla fine del mese, la maggioranza degli Italici Genii riesce a tornare a

...e DOPO!

casa. Ricaricano la Punto di tutti i loro bagagli e si reimmettono nell’autostrada che li riporterà a casa. E’ stato bene, l’Italico Genio ne è convinto. Si sente proprio rilassato. E poi quest’anno si è speso anche meno dell’anno scorso (con i soldi buttati via poteva comprare una tenuta in Argentina, ma vuoi mettere la mucillagine di casa nostra?).

All’indomani, alle 5 di mattina la sveglia suonerà per permettere al nostro di essere in fabbrica alle sei in punto. E la vita trascorrerà come sempre: con la moglie rompicoglioni, la sòcera, la parabola, la luce, il gàsse, l’assicurazione della Punto…Ma mancano solo 11 mesi, e poi via, se torna al mare!

Questo mese ho poca voglia di scherzare. E’ stato commesso un delitto, e come in tutti i casi dove ci scappa il morto, il sentimento non può essere leggero. C’era una volta una realtà forte nel mio paese. Era qualcosa che andava oltre ad ogni pensiero o ideologia che una persona potesse avere. Come ogni comunità di persone, Bibbiena aveva una propria squadra di calcio, il simbolo dell’unità del paese. Alla domenica, verso le tre del pomeriggio non volava una mosca: centinaia di persone di ogni estrazione sociale, ricchi e poveri, dottori e pazienti, imprenditori ed operai erano li, metà nella tribuna coperta dello stadio del paese e l’altra metà nel prato, tutti con qualche cosa di rosso e blu per bandiera, e quando non ci s’aveva o non si poteva a causa dell’estrazione sociale o della moglie petulante, bastava il guancialino bicolore. Quanti gusci di lupini sono stati lasciati in quelle gradinate. Quante boccine triangolari della Vecchia Romagna dissolte in un attimo quando d’inverno si sedeva in quel cemento ghiacciato. Quante volte ci si bloccava il respiro nell’attesa dell’esito di una punizione,di un tiro che si abbassava “a palombella” verso la traversa del portiere avversario. Si berciava come matti, si sventolavano le bandiere, si tornava a casa senza voce. Era un sentimento comune l’amore per quella squadra. Nel bene e nel male Bibbiena e la Bibbienese erano una sola anima. Il campo dello stadio è ancora verde per il sudore ci hanno lasciato i ragazzi di Bibbiena che si battevano come leoni con quella maglietta addosso, per quella maglietta che avevano addosso i loro padri ed i loro nonni. Quella maglia rossoblu, indossata per la prima volta nel 1927.

Forte di tanto affetto, era stata spinta verso paradisi inimmaginabili nella nostra piccola e provinciale vallata. La Promozione, l’Eccellenza e incredibile a dirsi l’Interregionale. Ad un passo dai professionisti, l’ascesa si arrestò quasi per un eccesso di timore verso quel mondo che richiedeva moltissime (forse troppe) risorse. Ma la squadra si comportava comunque bene, partiva dal mezzo di una valle di provincia e sbaragliava blasonati squadroni di città capoluogo. La domenica, partivano colonne di auto per seguire la nostra squadra fuori provincia, in Emilia, nelle Marche.

Poi, come in ogni favola che si rispetti è arrivato l’orco cattivo. La nostra principessa, nel fiore della bellezza fu tradita. Come in una moderna versione della Mea, la nostra amata è stata rapita ad un passo dalle nozze. Ella fu catturata dall’ “Armata Brancaleone”, malnutrita, offesa, torturata, violentata nello spirito e lasciata agonizzare nei peggiori bassifondi. E così, il fiore di Bibbiena perse uno ad uno i propri petali. In pochi anni di sofferta e lenta agonia, con l’atroce consapevolezza di avvicinarsi alla morte, la nostra Bibbienese si è spenta dopo una violenta caduta dalla Prima alla Seconda Categoria. 

 Non credo che si debba provare rancore o odio verso chi ha perpetuato questo scempio. In fondo, era solo una Armata Brancaleone, un insieme di maldestri cavalieri sbrindellati senza ronzino né bandiera… La cosa atroce, però, che tutti noi Bibbienesi non gli perdoneremo mai è lo scempio che è stato fatto del cadavere della nostra squadra. Neanche una degna sepoltura le è stata riservata. Anche i Cavalieri nel buio Medioevo, solevano seppellire con tutti gli onori il proprio destriero nel momento della morte, in quanto parte integrante e veicolo dello splendore del Cavaliere stesso. Ma il cadavere della povera Bibbienese, è stato squartato e svenduto a tranci al miglior offerente, le sue maglie buttate nel sacco dei ciechi, la sua anima gettata nel sottoscala.

 Chissà che fine faranno quei gagliardetti delle squadre di calcio che dal 1927 hanno costruito la storia della squadra. Forse quelli più bellini come colore verranno portati a casa per farci giocare i nipoti. Gli altri, diventeranno forse cenci da spolverare. Che tristezza. Che pena. Che mal di cuore.  Alla fine dell’estate, quando rientreremo dalle ferie, ritroveremo i componenti dell’Armata Brancaleone al loro posto al bar, tranquilli, con la coscienza a posto. Perché loro, la loro crociata l’hanno combattuta con coraggio: infatti agli avversari, a forza di musate, gli hanno slogato una mano…

Spero che le persone perbene di Bibbiena non dimentichino mai la nostra squadra. Le foto dei trionfi, gli articoli dei giornali, i caroselli di auto con le bandiere, devono rimanere affisse nelle pareti dei bar per sempre. Per i nostri nipoti, perché sappiano che nel nostro paese è esistita una grande squadra e per i nipoti dell’armata Brancaleone, quale persistente rimorso.

 Addio, Unione Polisportiva Bibbienese.

Recentemente, ripensando alle giornate della mia gioventù passate a trippa ritta nelle rive sassose della Steccaia e del Ponte Rosso, mi è tornato in mente il curioso pesciolino dalla testa particolarmente grossa, assiduo frequentatore dei ruscelli Casentinesi: il ghiozzo.

Proprio a causa delle spropositate dimensioni della testa del suddetto, l’appellativo ghiozzo, nel lessico locale è venuto ad indicare una persona particolarmente “dura nel comprendonio”, di scarsa intelligenza ed arguzia, poco incline alle novità, decisamente poco socievole e disinteressata a tutto. In poche parole: un ghiozzo… Come tutti sapranno, i ghiozzi (i pesci, intendo) vengono pescati non con la canna da pesca, ma con la classica forchettata sulla chiorba. La differenza col ghiozzo (quello umano), sta nel fatto che questi ultimi vengono pescati con la rete. Mi spiego meglio.

Che la tecnologia sia cosa ostica, è oramai risaputo. Se da qualche anno Internet, cioè la rete per eccellenza, ha condizionato pesantemente il modo di lavorare, di acquistare, di studiare e di socializzare di milioni di persone, esistono ancora delle sacche di popolazione che, complici i media (scommetto che avete letto mìdia…), quando sentono parlare di Internet si fanno il segno della croce. Provate ad ascoltare i dialoghi delle persone in piazza: “ho comprato il computer al mi figliolo: voleva internet…” e l’altro: “Eh, poverino, così giovane… e son disgrazie…”. Ma chi ha scatenato tutta questa valanga di disinformazione? Basta dare un’occhiata ai nostri Telegiornali (non lo fate, per carità era solo un modo di dire…) per rendersene conto. Solerti giornalisti (?) da sottoscala, abilissimi reporter dei tornei di ramino, intrepidi cronisti della bocciofila, promossi finalmente al commento di avvenimenti sociali rilevanti, non si sono lasciati scappare l’occasione di mostrare tutto il loro valore. Trovatisi a dover comprendere argomenti ben diversi dal tre di picche e dal piombo a girare, hanno semplicemente amalgamato argomenti incongrui tra di loro, un po’ per l’ignoranza genetica della quale soffrono ed un po’ per colpa della natura che li ha fatti così.

Così la nostra Internet è diventata il ghetto dove (secondo loro) sopravvivono bande di pedofili, pornografi, pervertiti ed altro maialame vario. Tra poco verranno a dirci che Internet l’ha portata gli Albanesi. Non solo: tutte quelle parole che hanno qualche attinenza o somiglianza con la tecnologia, o che comunque suona come moderna (virus, multimedia, memoria eccetera) viene forzata ed amalgamata con le altre fino a ricondurla ad Internet. Vi si fulmina una lampadina in casa? Le lampadine funzionano con l’elettricità, elettricità = elettronica, elettronica = computer, computer = Internet. Altri esempi lampanti? Titolo nel giornale: “Centrale elettrica in tilt a causa di un computer fuori uso. Pirati informatici hanno usato Internet per mettere KO la centrale” (magari era colpa di un topo che ha causato un corto circuito…). Affonda un peschereccio? Trovatelo voi il nesso (suggerimento: la parola Rete vi dice nulla?) e capirete come mai l’imbarcazione è andata a picco… il virus, internet eccetera. C’è ben poco da ridere…

Questi divulgatori ci hanno preso gusto a parlare di Internet, e la gente ci ha preso gusto a sentire quotidianamente le porno-notizie provenienti dalla rete. Bisognerebbe spiegare all’opinione pubblica che se c’è qualcuno con i neuroni fuori fase, non sono sicuramente gli utilizzatori della rete, ma i santoni che pontificano su di essa. Io uso Internet per lavoro quotidianamente e non mi sento più pervertito di quelle persone che vanno in edicola a comprare il giornale. In ambedue i luoghi se si rovista un po’ vi si possono trovare dei sudiciumi, ma non per questo ci si deve sentire in colpa se si entra in edicola… (“Oh, lo sai ir marito della Maria ieri l’hanno visto entrare in edicola…”  “Vai, lo sapevo… l’ho sempre detto che un mi garbava”). A mio giudizio in Italia manca la cultura della Cultura. I concetti “imparare”, “capire”, “comprendere” sono assolutamente distanti dagli interessi di gran parte degli Italiani. Si parla per sentito dire, e se una parola non finisce con la vocale allora è straniera di sicuro e ci si rifiuta non solo di comprenderla ma addirittura di leggerla. Internet è l’ennesima barriera che divide le persone con un minimo di futuro davanti a loro dagli individui mediocri. Noi, malati di perversione digitale sapremo usare le nuove tecnologie per migliorare noi stessi, il nostro modo di lavorare, di comunicare, di vivere, di ragionare. Gli altri, continueranno a guardare Paperissima Sprint.

Hanno la forza, potranno sottometterci.
Ma i processi sociali non si fermano

né con il crimine, né con la forza.
LA STORIA E’NOSTRA

E LA FANNO I POPOLI
(Salvador Allende, Santiago del Cile, 11/09/73)
 

 

Questo pomeriggio approfittando del bel tempo e della giornata festiva (ricorre infatti il quinto anniversario della liberazione d’Italia dai Bolscevici), ho deciso di portare mio figlio in campagna. Oramai, anche in Casentino la cementificazione ha raggiunto livelli tali che dobbiamo accontentarci dei nostri 20 metri quadri assegnati di verde, il resto è tutto un cantiere. Ho parcheggiato nel mio spazio riservato ed ho pagato con la mia tessera “Mediolanum Trasporti” . Siamo entrati nel nostro spazio verde, proprio vicino alla riva dell’Arno, e dopo aver salutato la Guardia Padana che vigila sulla nostra sicurezza abbiamo preso possesso della nostra panchina. Innanzitutto ho spento il mio telefonino “Mediaset Telecomunications”… almeno oggi non voglio essere disturbato. I bambini si godono la agognata libertà di correre nell’erba, dal cartellone “Mediolanum Vita” fino al chiosco di panini “Mediaset Ristoro”, con le loro tutine tutte uguali volute dal Premier, e tutto sembra così gioioso che sembra quasi di non vedere i cartelloni con la faccia del Premier stesso la in fondo, in mezzo al parcheggio, sempre più sorridente, giovanile e rassicurante. Non sembra neppure di stare a meno di un chilometro dalla recinzione del Campo di Contenimento Immigrati.

Trovatomi un posto all’ombra, ho approfittato per dare un’occhiata al giornale. Anche oggi, solo notizie confortanti. L’economia va, l’inflazione è sotto controllo,i reati sono in calo. Come ieri. Come l’altro ieri.

Non faccio in tempo a finire di leggere l’articolo che il mio campione torna alla panchina… è l’ora di fare i compiti, ed il suo computer da polso “Mediaset Multimedia” glie lo ha prontamente segnalato. Ci mettiamo sul tavolino e lui comincia a tirare fuori tutto il necessario dallo zainetto: il Computer da studio, le biro, i quaderni ed infine i Mondadori. Ricordo che qualche anno fa si chiamavano semplicemente “Libri”, ma il Comitato di Sorveglianza sul Nuovo Ordinamento Sociale ha imposto tale denominazione. “Sai, ” gli spiego, “quando ero piccolo io il computerino da studio non ce l’avevamo…” “Davvero? E come facevate a calcolare gli ammortamenti, gli interessi passivi e le medie mobili nei trend?” “Vedi, ai miei tempi non si studiavano certe cose alle scuole elementari. Si studiavano altre cose più importanti, come la Storia e la Geografia…” “Ma babbo, anche le studiamo. Sono materie facoltative ma te mi ci hai fatto iscrivere, non ti ricordi?”.

Ieri...

 

“Penso che sia arrivato il momento di fare due chiacchiere, noi due. Tu non ti ricordi perché eri piccolo, ma fino a qualche anno fa le cose qui in Italia andavano diversamente. A scuola si andava senza l’uniforme, e si studiavano le materie necessarie per farti conoscere il mondo che ti circonda. Ti preparavano ad essere adulto, responsabile. Poi la riforma scolastica del Ministro Buttiglione ha spazzato via tutto quanto. I libri di storia sono stati riscritti ed interi secoli sono stati abbandonati. Esistevano le scuole pubbliche: tutti i bambini avevano la possibilità di andare a scuola, i figli degli operai assieme ai figli dei dottori. Poi è stata liberalizzata anche la scuola ed oggi dobbiamo solo scegliere in quale delle scuole private iscrivere i nostri figli. Una volta un lavoratore dopo aver lavorato per decenni poteva finalmente ricevere dallo stato un vitalizio che gli permetteva di vivere degnamente per il resto della sua vita.

...ed oggi... Trovare le differenze!

Oggi solo chi ha stipulato un contratto con “Mediolanum Anni Futuri” può sperare di andare in pensione. Pensa: quando guardavamo la televisione, potevamo addirittura scegliere quale canale guardare. Esistevano decine e decine di emittenti televisive, anche locali che trasmettevano di tutto. Erano anche un pò noiose, ma era bello avere la libertà di scegliere. Anche i giornali erano decine e decine: ognuno era libero di acquistare e leggere quello che più gli piaceva. Non come oggi, che l’unico quotidiano legalmente edito in italia arriva per posta elettronica ogni mattina a tutte le famiglie.  Non esistevano ancora i Campi di Contenimento Immigrati, voluti dal Ministro dell’Interno Bossi, quelle distese di baracche di legno col filo spinato intorno dove vengono rinchiusi i cittadini extraitaliani scoperti senza permesso di soggiorno. E chi commetteva un reato veniva processato e poi, se riconosciuto colpevole, messo in prigione, invece di essere immediatamente dipinto di vernice blu indelebile come ha voluto il Ministro di Grazia e Giustizia Dell’Utri. C’erano due corpi di forze dell’ordine: Carabinieri e Polizia. Poi sono stati disciolti ed il loro compito è stato affidato alle Guardie Padane al nord ed a Cosa Nostra al sud. E sono iniziati i soprusi, le perquisizioni illecite, le manganellate e le purghe con l’olio di ricino. Ricordo che il Casentino era uno dei luoghi più belli del mondo: castelli, pievi medievali, campi coltivati, boschi, ruscelli. Ci si prendeva in giro tra abitanti dei vari Comuni per antiche rivalità ma si era una sola famiglia. Da tutto il mondo venivano a godere del fresco delle nostre foreste. Prima che le frontiere venissero chiuse dal Ministero degli Interni, e prima che la Edilnord iniziasse a costruire tutti i palazzi, i centri commerciali e direzionali che oggi ci circondano.

 Immagina un mondo in cui ognuno era libero di svegliarsi, lavorare, pensare, amare, correre, vivere come e quanto voleva. Un paese senza soprusi, dove ogni cittadino poteva varcare ogni confine ed essere rispettato, un paese dove un giovane aveva la speranza di trovare subito il lavoro adatto a lui, dove si poteva aver fiducia del proprio futuro, un paese dove poter sognare, dove poter dire di no….”

Guardai mio figlio. Stava pensando affascinato a questo mondo immaginario.

Poi mi guardò e mi disse: “Certo sei bravo a raccontare le favole. Me ne racconti un’altra?”

Egregio Signor Cavaliere,

Non la chiamerò per nome per non dare adito a strumentalizzazioni che potrebbero colpire la Sua Persona. Chi le scrive è un giovane toscano, che ad un certo momento della propria vita si trova a dover fare delle scelte. Finora ho sempre vissuto in maniera più che decorosa. Ho un lavoro con una retribuzione dignitosa e buone prospettive, una famiglia unita, una casa che mi son comprato con notevoli sacrifici ma che oggi finalmente posso godermi. A tutto questo, si affiancano i problemi della vita quotidiana. Ho il

Santo subito!

mutuo da pagare, l’assicurazione della macchina costa, ci sono le spese per l’acqua, la luce, il gas. Quello che mi servirebbe sarebbe la sicurezza economica. Visto che per i canali “ufficiali” ci si mette troppo tempo, ho pensato di rivolgermi a Lei per chiederle se può venirmi incontro.

 Cavaliere, le chiedo ufficialmente di essere assunto alle sue dipendenze in qualità di Prestanome per una delle sue aziende.

 La cosa credo che non Le rechi poi tanto disturbo, e oramai Lei sa bene come funzionano certe cose. Non le darò certo i problemi che le hanno causato in passato gli altri che Lei ha scelto come ignari intestatari delle numerose ditte che ha fatto sorgere dal nulla. Non solo: sono un giovane con delle ambizioni, cultura superiore, dicono di bella presenza, pertanto molto più credibile come presidente di una finanziaria, di un pensionato moribondo o di una casalinga con la quinta elementare (poteva starci più attento, quella volta, però…). Non dovrebbe neanche sprecare più di tanto tempo ad istruirmi per il mio compito: ho studiato bene come dovrei comportarmi. Nella mia società entrerebbe una cifra (se non sbaglio intorno ai due miliardi e settecento, di media), e dopo qualche mese, ne uscirebbero (magia!) ventisette e rotti di miliardi. Il tutto in contanti per non lasciare traccia nei libri contabili. Successivamente, la ditta verrebbe liquidata ed io potrei continuare a fare la mia vita di sempre. Naturalmente mi accontenterei di una piccolissima parte del denaro circolante nella società, tanto per avere quella sicurezza economica che le descrivevo all’inizio. Come alternativa, Cavaliere, potrei proporLe la creazione di una TV privata nella mia vallata, il Casentino. Potrei figurare io come fondatore, poi potrei rivendergliela a un prezzo agevolatissimo. In fondo per Lei sarabbe ben poca cosa: lo ha già fatto per centinaia di emittenti in tutta Italia, almeno così mi dicono. Una antenna in più, che vuole che sia?

 Nel mio piccolo, mi sto già impegnando quanto posso per essere pronto a questo traguardo. Ho già allentato i rapporti con mio padre (lui ha votato sempre per la sinistra), e sto cominciando a leggere i quotidiani del “nostro” gruppo.

 La prego di non sottovalutare questo appello, Cavaliere. Tenga presente anche che ho la fedina penale pulita, e questo non potrebbe che portare una ventata di aria nuova nel gruppo che lei dirige. Le allego la fotocopia della mia carta di identità ed il mio codice fiscale, per accorciare i tempi per il disbrigo delle pratiche: se vorrà, potrà avvertirmi con comodo dell’avvenuta nomina.

 Rimanendo in attesa di un Suo riscontro, voglia gradire i miei più sentiti omaggi.

In principio era il verbo. Le antenne da 600.000 watt per trasmetterlo, vennero issate sulla collina molti secoli dopo.

Da alcuni decenni, su una collina non distante da Roma, uno Stato estero ha piazzato dei micidiali ordigni i quali, subdolamente, hanno un’effetto devastante sulla salute pubblica. Le antenne di Radio Vaticana, infatti hanno

una duplice funzione: veicolare la parola del Signore in ogni angolo della terra, e a quanto pare anche fornire quante più anime possibile al paradiso. Una volta per combattere il demonio bastava un’aspersorio ed una bibbia in latino. Oggi, nell’era tecnologica servono i Megawatt.

Gli abitanti dei Comuni irradiati dalle onde elettromagnetiche, da anni oramai lamentano fatti quantomeno sconcertanti. Le voci trasmesse dalla Radio Vaticana, a causa della loro spropositata potenza, entrano in tutto ciò che è elettrico: rosarioni multivocali salmodiati da pie suorine sono stati sentiti fuoriuscire da tostapane e rasoi elettrici, avemmarie e paternostri sono stati uditi nei citofoni da esterrefatti passanti. Le televisioni trasmettono il messaggio di Frate Bernardo invece di Rai Uno (non so se questo è un fatto negativo, in effetti). Le emissioni sono così forti che fanno vibrare le lamiere e fanno cantar messa anche ai tubi della stufa. Molte lavatrici hanno portato a termine blasfeme centrifughe al ritmo di “Il signore è il mio pastore”, e indignate massaie sono rabbrividite nel sentire il vangelo provenire dallo scarico del lavandino.

Effetti peggiori li hanno sulla salute delle persone, e qui c’è poco da scherzare. Le frequenze benedette emesse dalle sacre antenne, provocano dei surriscaldamenti delle cellule degli organismi viventi, e a lungo andare possono provocare nelle persone disturbi comuni come emicranie, fino ad arrivare ad affaticamenti e scompensi cardiaci, fino a leucemie e tumori. Da anni, gli abitanti della zona denunciano sistematicamente i troppo frequenti casi di leucemia, di tumori e di altre patologie, e le autorità non hanno fino ad oggi potuto fare altro che constatare i fatti. Il muro da scalare, evidentemente era troppo alto, e forse non c’era la volontà di scomodare troppo il Vaticano. La cronaca recente, e questa è la cosa a mio giudizio più ripugnante, riporta le affermazioni sconcertanti dei responsabili della Radio Vaticana, i quali, con voce agnellata riescono a dire solo che “non ci sono prove” che le malattie siano causate dalle emissioni delle loro antenne e che è tutta una montatura. Ora, io mi rendo conto che solo un paio di anni fa il Vaticano si è accorto che è la terra che gira intorno al sole e non viceversa, ma sia in Italia che in Francia come in Vaticano, vigono le stesse leggi della fisica, e le onde elettromagnetiche inquinano ovunque sulla terra, a prescindere dall’uso. In breve, non esistono radiazioni religiose, e quindi buone che fanno crescere i fiorellini nei campi e radiazioni laiche che provocano tumori. Le onde

elettromagnetiche se sparate ad alta potenza uccidono anche se tale fenomeno non è scritto nella bibbia. Mi stupisce anche la poca “cristianità” (o menefreghismo?) dei responsabili di questo scempio. Da delle persone di fede, mi sarei aspettato un caldo interessamento verso le persone colpite dalle loro radiazioni, tipo una verifica dei campi magnetici o perlomeno un fiore sulla tomba delle persone morte a causa delle radiazioni. Invece niente. Io mi figuro un futuro incontro nell’aldilà tra le anime dei bambini morti di leucemia ed i responsabili di Radio Vaticana: i primi entrati in Paradiso dalla porta principale, gli altri dalla porta dei fornitori…

Adesso le gerarchie papaline si sono mobilitate in massa contro il Ministro Bordon che si è permesso di ammonire la Radio Vaticana. La richiesta della Repubblica Italiana non è particolarmente persecutoria: o abbassate le potenze di emissione oppure vi tagliamo la corrente.

Io mi auguro che oltre a tagliargli la corrente, vengano mandate le ruspe in cima a quella collina. Come risarcimento danni, lo Stato Italiano dovrebbe abbattere le antenne e in quel posto far nascere una clinica per la cura dei tumori. Di sicuro non riporterebbe in vita i morti e non ridarebbe la salute alle persone oramai colpite dalle peggiori malattie, ma sarebbe un investimento contro la diffusione delle onde di morte.

Amen.

Faceva freddo, quella mattina di Gennaio. Erano le quattro di mattina, ed il termometro, sul cruscotto in radica della Jaguar segnava meno 3 gradi. Uffa, pensò l’occupante, tra poco dovrò scendere e beccarmi una bella dose di freddo… Parcheggiò il lussuoso mezzo in un parcheggio per VIP, 20.000 l’ora, guardato a vista dal corpo di viglianza privato.

Scherzi di Passaporto...

Abbandonato il sedile in pelle riscaldato, prese dalla poltrona posteriore la valigetta ventiquattrore e si incamminò verso il vicino palazzo della Questura. “Andiamo a sbrigare questa formalità”, pensò fra se e se. “Certo, a quest’ora di mattina però… forse è per non dare nell’occhio”.

Arrivato davanti all’entrata della questura, passò a fianco di una fila di alcune centinaia di persone che già aspettavano al gelo davanti ad uno dei portoni di legno. Guardando quei visi che lo fissavano, si sentì un poco in colpa, lui con quei vestiti firmati addosso, il cappotto di cachemire e le scarpe che da sole costavano come un’intero anno di lavoro (a nero) di uno solo di quei disgraziati in fila. Ma in fondo che cosa c’era da sentirsi in colpa? Quei soldi lui se li guadagnava sudando dalla mattina alla sera, lavorando anche la domenica, anzi specialmente la domenica, quando quegli altri se ne stanno tranquilli a casa o a bighellonare per i parchi pubblici. Arrivato davanti alla portineria, con la ventiquattrore in mano legata con la catenella, si sentì al sicuro. Premette il bottone dell’interfono. Una voce, sonnolenta di là dal vetro rispose: “Diga?”[1]. “Buongiorno, esimio tutore dell’ordine pubblico,” esordì “Sono stato convocato per depositare alcuni documenti inerenti la pratica per la regolarizzazione del mio soggiorno in codesto Paese. Gradirei sapere ove posso recarmi per chiudere la pratica”. “Goome?”[2]. “Dicevo, che dovrei presentare dei documenti inerenti la mia permanenza in Italia… Il Passaporto, capisce?” “Aaaah, e che minghia, subbito lo potevi ddire, no? Signorino, per il passapotto la fila devi fare, come tutti gli attri!”[3]. “La fila?” si voltò e vide le decine e decine di visi asiatici, africani ed est-europei che lo fissavano… “Vede, lei forse non sa chi sono io… Io ho bisogno di consegnare questi fogli immediatamente! Io sono..” “Uè, picciotto, che facciamo alziamo la voce, ah? Vuoi che ti perquisisco subbito? Vuoi che apra quella valiggetta per vedere cosa salta fuori? Ah?” “Guardi, c’è un malinteso…” “Te lo do io il malinteso, faccia da cinese! Mettiti in fila con quelli della tua specie, vai! Ha pottato pure il vestito della comunione! Vai in fila, vai che ti prendono il posto!”

Pieno di collera ma fermamente deciso a fargliela pagare, tornò indietro e si mise in coda con tutti gli altri. “Vedi che figura che gli faccio fare coi suoi superiori, quando entro la dentro… Lui non sa chi sono io…”. Guardò il suo Rolex Daytona Acciaio e Oro e scoprì che erano appena le quattro e quaranta di mattina.

Alle due e sedici del pomeriggio, finalmente entrò negli uffici. Esausto per l’attesa, entrò nella stanzetta, si tolse il cappotto e lo mise nell’attaccapanni. Poi si mise a sedere davanti al poliziotto di turno. “Senta, agente, vorrei far presente una situazione alquanto spiacevole che mi è occorsa qualche ora fa…” “Nomo e Gognomo.”[4] “Dicevo, avrei da fare una rimostranza…” “Uè, faccia da cinese, ho ghiesto nomo e gognomo!” “E va bene. Mi chiamo Alvaro Recoba sicuramente avrà sentito parlare di me” “Selenzio! Qui le ddomande le faccio io, chiaro? Allora, Reggobba Alvaro.” disse scrivendo con calligrafia da prima elementare nel modulo statale pluritimbrato. “Che lavoro fai qua in Italia? Lavi i vetri anghe te ai semafori ah?” “Veramente sarei un calciatore” “Ah, minghia, gioca a pallone il signorino! Ma un lavoro serio non ce l’hai? Che fai il lavapiatti, il cuoco? Chi ti ha fatto venire qui in Italia?” “Il Signor Moratti in persona, sono un calciatore dell’Inter!!!! Conosce l’Internazionale?” “L’Internazionale? Minghia pure comunista sei ah? Siamo messi male, faccia da cinese, te lo digo io! Paese di provenienza? Cina, Vietnam, da dove sbughi fuori, Mao Tze Tung, ah?” “Veramente sono Uruguagio” “E che è una malattia?” “No vuol dire che vengo dall’ Uruguay, Sud America”. “Ah, bene, vieni dal sudamerica con una valiggetta in mano eh? Che ci porti la dentro la ddroga eh?” “Ma come si permette, sono una persona seria, io! Mi faccia parlare con un suo superiore!” “Uè che facciamo ci scaldiamo? Abbiamo la coda di paglia ah? Brigadiere Esposito, porti di là il signorino, oops, chiedo peddono, il Signor Calciatore, e gli faccia una bbella perquisizione, che per me qualcosa ci nascose!” Tralasciamo la cronaca della mezz’ora successiva. La perquisizione ebbe luogo e fu molto, molto approfondita… Per ulteriori accertamenti, fu deciso di fermarlo e lasciarlo a disposizione della magistratura. Le accuse erano: importazione, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, ricettazione di automobile di lusso ed abiti rubati, contrabbando, sfruttamento della prostituzione (infatti gli fu trovata una agenda con decine di nomi di donne) e, dulcis in fundo, era pure clandestino. Dopo due giorni di camera di isolamento fu tradotto al carcere milanese di San Vittore, dove tuttora è detenuto in attesa di giudizio. L’udienza preliminare è stata fissata per il Giugno 2002. La domenica successiva, la Gazzetta dello Sport titolava: “Inter in campo senza Recoba, che risente ancora di una fastidiosa pubalgia ed ha preferito non unirsi alla squadra. Al suo posto, in campo Vieri.”

Poi all’improvviso mi sono svegliato… Era stato solo un sogno, ma era stato incredibilmente reale. Mi sono vestito, sono uscito per andare al lavoro e passando davanti alla questura ho dato un’occhiata alla ennesima fila di decine di persone in attesa del loro turno. Poi, mi sono fermato a comprare il giornale in edicola. Che scemo, ho pensato, domenica prossima L’Inter gioca con la Lazio! Per poco non me ne dimenticavo! Meno male che hanno chiuso alla svelta la questione dei passaporti: ho pagato un milione e mezzo di abbonamento al satellite per vedere le partite e chi mi ci mettono in campo, i bambini?

Eh si, a volte basta una buona notizia per iniziare bene la giornata.


[1]     Traduzione: “Dica?”.

[2]     Trad. “Come?”. E’ intuibile che l’interlocutore non è molto avvezzo all’uso della Lingua Italiana.

[3]     Da leggersi con una forte cadenza Siciliana, possibilmente dell’entroterra di Enna.

[4]     Trad. Nome e Cognome, per i non poliglotti. Trattasi di concittadino del precedente.

Leggendo i giornali, non possiamo fare a meno di notare quante, tra le notizie provenienti dal mondo  riportino dei seri problemi per la salute delle persone. Da Seveso in poi, passando per Chernobyl, il buco nell’ozono, i cibi transgenici, fino alle recenti bombe all’uranio e alla mucca pazza, l’opinione pubblica è sempre stata informata “quanto basta” dei disastri ecologici ed ambientali.

Pazza io?????

Quando succede qualcosa di sospetto, subito solerti annunciatori televisivi fanno notare che tutto va bene, che la situazione è sotto controllo, che non c’è nulla da temere. Però sarebbe bene che i vecchi ed i bambini non uscissero di casa, che l’acqua fosse fatta bollire, e che non è il caso di girellare troppo per le strade quando c’è il sole, che se la pelle si copre di chiazze rosse di sicuro sono state le zanzare… Basta pensare alla Mucca Pazza: i muscoli sono buoni, è il cervello che è da buttare (curiosa metafora della società moderna…). Però per sicurezza, se un’animale è malato si ammazzano tutti gli animali dell’azienda agricola, si brucia la casa del contadino e gli si bucano le gomme del trattore… Questo si che è rassicurante!

Tutto questo bombardamento di informazioni contraddittorie, lascia quantomeno disorientati i cittadini, i quali cominciano ben presto a fare confusione e a mescolare i timori, le cause e gli effetti dei troiai che si mangia e che si respira. Ascoltando i vari telegiornali, io stesso sono arrivato ad uno stato di confusione tale che ho cominciato a teorizzare.

Così, nella mia mente offuscata da troppa malainformazione, mi sono trovato ad immaginarmi questi poveri bovini, alimentati da allevatori senza troppi scrupoli con barre di uranio prelevate dalla centrale di Chernobyl e col foraggio transgenico. In effetti mi sono rattristato un po’ nel pensare ad un povero vitellino da latte intento a sgranocchiare un cilindretto di metallo…

Queste mucche, esposte al sole, si beccavano pure nel groppone tutto l’ozono che filtra dal famigerato buco, minando ancor di più le già critiche condizioni fisiche degli animali. Nasce così nella mia immaginazione la figura della Mucca Impoverita, capace di produrre latte dal caratteristico colore giallo-fosforescente, e utilizzabili solo per fare giubbotti in pelle, cinture e ad essere ridotte in bocconcini tipo kitekat per altri ignari bovini.

Non contento dei miei pensieri folli, mi sono spinto oltre. Ho pensato: che farsene di un’animale talmente deperito da essere inutilizzabile? Ebbene, a risolvere il problema ci ha pensato ancora una volta il grande fratello americano: i bovini venivano utilizzati nella guerra in Jugoslavia come proiettili anticarro e come bombe sganciate dagli aerei. Se vi pare una cosa crudele per l’animale, immaginatevi l’effetto devastante di un bovino che cade su una palazzina… Ancora oggi, si stanno studiando gli effetti di tali bombardamenti in Serbia, con i soldati armati di contatori Geiger per misurare le radiazioni e di pennato per farsi strada tra i costolicci degli animali precipitati.

Forse mi sono lasciato prendere la mano ed ho fantasticato un pochino, ma in effetti se ci si pensa bene la situazione è abbastanza inquietante. Più o meno consciamente, stiamo diventando diffidenti verso tutto quello che mangiamo e che beviamo. E non può essere altrimenti. Non so voi, ma io il cocomero a dicembre non lo compro, cosiccome non mi fido del latte “arricchito” da chissà quali vitamine anti-questo e pro-quello. Vietano il formaggio stagionato nelle grotte (perché dicono  che non sia igienico) e ci fanno mangiare delle fettine di mortadella preconfezionata dal colore verdognolo con scadenza Giugno 2008.

Fra un po’ dovremmo mangiare il pane senza grano, la bistecca senz’osso, il vino analcolico, il rocchio senza grasso e l’olio poco unto. Io dietro casa ci ho il mio orticello, ma se mi fanno diventare radioattiva anche la bietola allora è la volta buona che faccio la rivoluzione.

Speriamo che alla fine tutti questi allarmi facciano capire a chi di dovere che la corda è già abbastanza tirata, e che se si spezza saranno dolori per tutti.

 Gia ora ci vuole un gran culo per morire di vecchiaia…

Questo articolo è stato da me scritto per il numero di Dicembre 2000 del mensile Casentino 2000

Il linguaggio casentinese si distingueva (fino a un paio di generazioni fa) per la schiettezza ed immediatezza delle sentenze che riusciva ad esprimere.

I nostri nonni, quando si trovavano di fronte a situazioni dall’esito palesemente avverso, erano soliti esprimere il loro disappunto con la frase testè citata: “La veggo buia…” (traduzione per i non autoctoni ed i Fiorentini: La vedo buia).

La veggo buia“, si diceva quando minacciosi nuvoloni neri si avvicinavano portando il temporale ed il rifugio più vicino era a chilometri di distanza. E la si vedeva dimorto buia anche quando si rompeva la ruota di legno in discesa e il carro sfiorava il precipizio. Vedendo che cosa ci spetta in questo 2001 che sta per iniziare, non posso che esprimere il mio personalissimo parere: La veggo buia.

Mala tempora currunt...

Se il 2000 in fondo non è stato un’anno felicissimo per molti (eppure non è passata neanche una cometa), il 2001 che è alle porte si presenta subito bene. Vediamo assieme che cosa ci aspetta. L’anno si aprirà con l’insediamento del presidente degli Stati Uniti d’America. Alla Casa Bianca siederà George Bush Junior. Immaginate un ragazzotto borioso perché figlio di papà presidente, spocchioso e nullafacente, la cui occupazione principale è stata quella di negare la grazia ai condannati a morte che gliene facevano richiesta perché altrimenti perdeva il treno per le presidenziali…. Ebbene, signori, tale persona guiderà il paese più potente (economicamente e militarmente) del globo terracqueo. Chissà se ripercorrerà la carriera del padre: in medio oriente, intanto si stanno già grattando sotto la cintola.

Ci auguriamo in cuor nostro che il famoso pulsante rosso sia ben protetto con un grosso vetro davanti, e che non possa essere premuto per sbaglio o per ripicca… Gli USA, come sempre, saranno in prima fila con l’ONU a controllare le regolarità delle elezioni dei paesi in via di democratizzazione. Dal 2001 le delegazioni statunitensi, avranno in dotazione le più sofisticate tecnologie: lavagna, gessetti e pallottolieri eviteranno brogli nei conteggi.

Nel nostro caro vecchio continente le cose non andranno granchè meglio. Si infittiranno le scorribande del fallocefalo Haider in Italia, ora che è stato redento ufficialmente dal Vaticano. In fondo le sue idee sugli ebrei non erano così distanti da quelle di alcuni personaggi storici da poco elevati gli onori degli altari. Con quell’alberello piantato in mezzo alla Piazza di San Pietro, l’ “Intimo di Karinzia” intanto si è conquistato un occhio di riguardo, poi si vedrà… Noi intanto nel nostro piccolo confidiamo nella salute di Giulio Andreotti e gli auguriamo lunga vita: sarebbe molto imbarazzante vedere nel calendario del 2001 il giorno di San Giulio…

In primavera, si svolgeranno verosimilmente le elezioni politiche in Italia. Oramai tutti sanno come andranno a finire.

Parola d'ordine: Tirare la cinghia..

Basta guardare le nostre città: prima erano coperte di pubblicità insulse ma almeno si vedeva qualche coscia… ora un nano ricchissimo emana dagli stessi cartelli dei messaggi subliminali di inusitata intelligenza ed arguzia: “Meno tasse”, “Più lavoro”, “W la natura”… Quando arriveremo a leggere “Basta con la calvizie”, “Abolire la pioggia”, “No al puzzo di piedi” capiremo finalmente che il nano avrà vinto per manifesta inferiorità intellettiva del popolo. Solo nel nostro piccolo Casentino prevedo che il 2001 non porti più di tanti sconvolgimenti: la SS71 rimarrà la stessa vergogna di asfalto, anche se ultimamente abbellita da qualche semaforo sparso qua e là verso S. Mama, l’opposizione del mio comune continuerà a votare contro “a prescindere”, l’elettrodotto continuerà ad essere al centro di polemiche… Roba di normale amministrazione, insomma.

Mi auguro di essere smentito dai fatti, ma intanto signore e signori, la veggo dimorto buia.